Ho letto con molto interesse sulle pagine della Tecnica della scuola l’articolo del 10 gennaio 2024 dal titolo: Cattedra inclusiva, una proposta dirompente: tutti i docenti si occuperanno della propria classe, che mi da lo spunto per un’analisi a 360 gradi dell’attuale sistema d’inclusione scolastica del nostro Paese, ad ormai 47 anni dal suo avvio con l’emanazione della Legge 517/77.
Innanzitutto, entrando subito nel merito della proposta della cosiddetta “cattedra mista o inclusiva”, riportata dall’articolo della Tecnica della scuola di cui sopra, devo dire che, a primo acchito e ad una lettura veloce e superficiale, essa potrebbe sembrare ai più estremamente innovativa od addirittura “rivoluzionaria”.
Tuttavia, se ne approfondiamo la disamina dei contenuti e ci addentriamo più nel dettaglio, ci si accorge come l’eventuale attivazione della proposta della “cattedra inclusiva”, che verrà presentata alla stampa il 25 gennaio p.v. a Roma, sia al contrario in conflitto con la legislazione “inclusiva” del nostro Paese, a partire dalla 517 del 1977 e dalla legge 104 del 1992 fino al recente D.Lgs 66/17, tutta centrata sul docente di sostegno, determinando spesso addirittura il perverso meccanismo della delega al solo docente specializzato del processo d’inclusione, indipendentemente dalle sue competenze specifiche sulle singole disabilità.
L’inadeguata formazione specifica del docente per il sostegno è avvenuta in quanto, negli ultimi decenni, la loro specializzazione da “monovalente” (attenta cioè alle specifiche disabilità ed ai bisogni educativi dei singoli) è divenuta invece “polivalente” e general-generalista.
D’altra parte, la mancata formazione “generalizzata” di tutto il personale scolastico sulle singole disabilità, come tra l’altro previsto dall’art 24 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, non consente ai docenti disciplinari di avere né le conoscenze né le competenze idonee ed adatte per un’efficace presa in carico dell’insegnamento e della valutazione degli alunni/studenti con disabilità, favorendo così la quasi “scontata” ed inevitabile loro “deresponsabilizzazione” e delega al collega di sostegno del processo d’inclusione scolastica.
Ma per ovviare a tali “debolezze” del sistema, non serve istituire “cattedre miste o inclusive”, se i docenti della classe e quelli per il sostegno continueranno a non possedere una formazione adeguata e specifica sulle singole disabilità. Pertanto, considero tale soluzione sbagliata, perché più centrata sulle esigenze di “gratificazione” professionale dell’insegnante che sugli effettivi bisogni formativi specifici degli alunni/studenti con disabilità, che, con siffatto modello scolastico, rischierebbero di non avere né un sostegno, né insegnamenti disciplinari idonei e sufficienti.
Per concludere, ai fini della qualità ed efficacia del nostro modello inclusivo, mi sento di sposare in toto la Proposta di Legge sollecitata da Salvatore Nocera e promossa dalla FISH già nel 2021 che prevede, sulla formazione iniziale, che tutti i futuri docenti curricolari debbano seguire almeno un semestre accademico, ossia 30 CFU [Crediti Formativi Universitari, N.d.R.] sulle tematiche dell’inclusione. Una volta rafforzate quindi le competenze dei docenti curricolari, la predetta PdL della FISH prevede pure, ed è questo il vero “pilastro portante” della proposta, l’istituzione di apposite “classi di concorso” per gli aspiranti docenti per il sostegno, con un percorso specifico quinquennale di Laurea ed un sesto anno “abilitante” con TFA.
Ma non finisce qui! Infatti, chi scrive ha sempre ritenuto che, senza voler moltiplicare le figure deputate al sostegno e sostituire l’indispensabile ruolo del docente specializzato, per un proficuo processo d’inclusione degli alunni con disabilità del nostro Paese, sia ormai giunto il tempo del “sacrosanto” riconoscimento giuridico del profilo dell’Assistente all’autonomia e alla comunicazione e del Tiflologo.
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