Sono in corso di correzione alcuni aspetti effettivamente sconcertanti della legge sulla scuola di Renzi (107/2015) e in arrivo nuove proposte.
Pensiamo, per esempio, all’impossibilità di attribuire supplenze a chi aveva raggiunto i 36 mesi di servizio a tempo determinato. Si trattava di un provvedimento diametralmente opposto alle intenzioni della normativa europea, che intendeva invece tutelare i lavoratori evitando che fossero utilizzati senza limiti di tempo con assunzioni precarie.
Un provvedimento che sembrava andare nella direzione di uno sfruttamento senza ritegno dei lavoratori della scuola e nella direzione di un ulteriore danno agli studenti e alle famiglie, visto che non appena un insegnante aveva acquisito una certa esperienza veniva rifiutato per l’assunzione di neolaureati.
Anche le modifiche relative alla chiamata diretta penso vadano accolte positivamente, non perché non sia importante una selezione degli insegnanti migliori, ma perché, nel caso degli insegnanti di ruolo, produce solo una collocazione in una scuola piuttosto che in un’altra, senza considerare il rischio di scelte fatte sulla base di favoritismi e clientelismi piuttosto che per ragioni di merito.
Rispetto al bonus premiale le modifiche contrattuali paiono ancora insufficienti.
Non poteva essere pensato nulla di più controproducente dal punto di vista del miglioramento della qualità della scuola.
Le evidenze scientifiche mettono in evidenza come le scuole migliori sono quelle con il più alto livello di collaborazione. Introdurre la competizione tra i docenti non può quindi che peggiorare la situazione, soprattutto considerando il fatto che chi dedica più tempo alla scuola lo fa sotto forma di semi-volontariato a causa del depauperamento del FIS (fondi di istituto) e la vergognosamente bassa retribuzione desinata a figure essenziali per il funzionamento della scuola quali le funzioni strumentali.
I fondi del bonus premiale penso che dovrebbero essere attribuiti al merito dei tanti che fanno ore di lavoro in più – rifinanziando i FIS – e a una retribuzione minimamente dignitosa per le funzioni strumentali.
Ora arriva l’idea di incentivare economicamente le aziende per l’assunzione di laureati con il massimo dei voti e dei dottori di ricerca. Ciò desta alcune perplessità.
Se la prima reazione potrebbe essere quella di approvare l’idea di premiare il merito, pensandoci con maggiore attenzione sorgono alcuni dubbi: perché occorrono incentivi economici per far assumere lavoratori più qualificati?
Non è già nell’interesse delle aziende farlo? Quei fondi non rischiano quindi di diventare semplicemente un regalo senza alcun beneficio per i giovani meritevoli?
Inoltre, benché questo sia un apprezzamento per la correttezza delle valutazioni delle università, non corriamo forse il rischio che alcuni usciti da università di altissimo livello, pur non avendo conseguito il massimo dei voti, ma essendo altamente qualificati e preparati, vengano penalizzati a favore di altre persone uscite da università più generose nell’attribuire i voti?
Non sarebbe invece forse il caso di destinare quei fondi a finanziare la ricerca, favorendo così la possibilità di aumentare il nostro PIL grazie all’innovazione invece di indurre decine di migliaia di giovani ricercatori a lavorare all’estero, migliorando le economie di altri paesi dopo essersi formati in Italia?
In merito poi alla formazione degli insegnanti lascia totalmente sconcertati l’idea di ritornare al ruolo dell’insegnante conseguito solo dopo una laurea, senza alcuna formazione in ambito psicopedagogico.
Sebbene il FIT della legge 107/2015 sia un percorso talmente lungo e tortuoso da disincentivare tanti ottimi laureati dall’intraprendere il percorso dell’insegnamento, il ritorno al passato, in cui si andava ad insegnare senza essere formati in alcun modo per un mestiere così importante e delicato, sarebbe un danno enorme alle possibilità di realizzare una scuola di qualità.
Perché non mantenere semplicemente il Tirocinio Formativo Attivo precedente all’attuale normativa?
Un’abilitazione conseguita attraverso la formazione di un anno dopo la laurea tutto sommato può essere una soluzione ragionevole per evitare percorsi farraginosi e nello stesso tempo evitare di assumere insegnanti preparati dal punto di vista della conoscenza della loro disciplina, ma assolutamente incapaci a gestire una classe e a capire come realizzare processi di apprendimento efficaci.
Infine per quanto riguarda la specializzazione per il sostegno: fino a due anni fa chi poteva insegnare una disciplina avendo acquisito l’abilitazione poteva anche partecipare ad un corso di specializzazione e se aveva superato un concorso per l’insegnamento della propria disciplina poteva essere immesso in ruolo sul sostegno senza affrontare ulteriori concorsi.
L’introduzione del concorso sul sostegno ha complicato ulteriormente una situazione caratterizzata da una carenza cronica e gravissima di insegnanti specializzati nelle scuole italiane.
Tornare all’immissione in ruolo immediata dopo il conseguimento della specializzazione significherebbe garantire agli allievi con disabilità la disponibilità immediata, dal primo giorno di scuola, di tutti gli insegnanti specializzati.
L’altro aspetto che rende difficile avere un numero adeguato di insegnanti di sostegno specializzati è il frequentissimo passaggio verso la cattedra curricolare dopo i cinque anni obbligatori. In questo caso dovrebbe essere presa seriamente in considerazione la proposta delle cattedre miste (di cui si è parlato spesso su queste pagine) che permetterebbe agli insegnanti di lavorare per parte del proprio orario di servizio come insegnante di sostegno e in parte come insegnanti curricolari.
Con tutta probabilità questo renderebbe meno urgente per molti insegnanti la richiesta di destinazione su cattedra curricolare che crea una continua carenza di insegnanti specializzati e forse alcuni degli attuali insegnanti specializzati in servizio su cattedra curricolare chiederebbero di essere utilizzati per alcune ore sul sostegno.
Sarebbe utile evitare ad ogni cambio di governo l’arrivo di “riforme epocali” fondate su presupposti ideologici, più che su evidenze scientifiche ed empiriche e pensare che a volte la razionalizzazione può non essere semplice riduzione di risorse, ma una riorganizzazione ragionevole che può ottenere risultati interessanti a volte anche a costo zero.
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