No (ancora e sempre) alla chiamata diretta

Incontro Miur-sindacati per il prossimo contratto sulla mobilità dei docenti. Non ci siamo soprattutto per un punto.

Apprezziamo le aperture (già rivelate da fonti giornalistiche e poi confermate in sede di intesa), che sono anche un gesto di responsabilità del ministero per una mobilità non più demandata solo ai vincoli della legge 107-2015 (la “scuola alla buona”), a cominciare da una fase unica e non più farraginosa come quella che investì docenti (e famiglie) l’estate scorsa: la semplificazione doveva partire da lì. 

Inoltre il vincolo provinciale triennale appare proprio indigesto per i tanti disagi di una mobilità nazionale affidata ad un ancora dubbio e ancora ignoto algoritmo (disagi e dubbi sui quali si sono espresse varie sentenze di tribunali del lavoro, ndr) e salutiamo con favore la possibilità (non la sicurezza, si badi) di far ritorno nelle proprie regioni per molti docenti, soprattutto meridionali. Questo a medio termine creerà degli effetti benefici anche per la stabilità dell’organico delle scuole del centro-nord e, perché no?, anche di quelle meridionali. Anziché dover attendere nel corso di settembre, ad anno scolastico già iniziato, un’agognata assegnazione provvisoria o un’utilizzazione (spesso sul sostegno) si deve cercare di “donare” continuità didattica a docenti e studenti, tanto più se portatori di particolari bisogni.

Non sono invece soddisfacenti gli sviluppi di quello snodo cruciale della legge 107-2015, la chiamata per competenze o diretta: le indiscrezioni sono state confermate e per i docenti si tratterà di poter esprimere 15 preferenze (numero congruo), ma di esse solo massimo 5 (3 sole inizialmente) scuole e massimo 10 ambiti territoriali, con la conseguente permanenza delle chiamata estiva da parte dei presidi. Questa situazione creerà una probabile asimmetria proprio in quelle province con maggiori richieste di mobilità: solo un numero ridotto di docenti richiedenti vedrebbe accolta la propria richiesta di scuola, gli altri andrebbero nel girone dei “nominati”.

A questo il coordinamento scuola di RISORGIMENTO SOCIALISTA dice di no, ancora una volta, come per la difesa della Costituzione il 4 dicembre (una data vissuta da molti docenti come liberazione dal governo della legge 107), e invita gli altri movimenti e partiti della sinistra popolare ad una mobilitazione che porti ad uno sciopero, se necessario.

 
Abbiamo chiesto ai sindacati, compresa la FLC CGIL con cui abbiamo collaborato e collaboreremo per i referendum sociali, di non firmare un accordo che prevede l’applicazione della chiamata diretta, foriera di ulteriori ingiustizie, lacerazioni di una categoria già provata da divisioni. Come potremo dire a molte famiglie di docenti di sostenere il futuro referendum contro caporalato, voucher e subappalti fai-da-te, se poi non abbiamo difeso i docenti dalle opacità della chiamata diretta? Medico, cura te stesso – si diceva un tempo.

Comprendiamo le possibili motivazioni sindacali di un simile accordo (un accordo condiviso è meglio di un accordo separato peggiore), ma non condividiamo affatto la lettura del contesto storico in cui operiamo. 

Per Risorgimento socialista, come per molti e molte docenti e studenti, il 2017 deve essere l’anno dell’abrogazione per via normativa (e non solo contrattuale) della chiamata diretta. E l’anno della presentazione in Parlamento, prima o dopo nuove elezioni, della nuova Legge di iniziativa popolare.

 
Scuola della Costituzione repubblicana e chiamata diretta sono inconciliabili.

Invece duole constatare che l’FLC CGIL e altri tre sindacati (tutti i più rappresentativi, tranne la Gilda, rimasta coerente sulle proprie posizioni sulla chiamata diretta per nessuno) abbiano firmato l’intesa politica, anzi riconoscendo meriti all’accordo e impegno al dialogo alla ministra.

Ricordiamo loro che il contratto sulla mobilità ha valore annuale, per cui, se nel frattempo si rinforzasse il governo tardo-renziano, l’applicazione della chiamata diretta per tutti sarebbe automatica: essa sarebbe solo rimandata per alcuni di un anno. Troppo poco, visibilmente.

Si poteva ottenere di più, ecco perché non bisognava firmarlo durante – guarda caso – le vacanze natalizie ma dopo una mobilitazione unitaria. Non di fretta si è trattato, ma di altro. Tanto più vero se si ricorda che il referendum contro parti della legge 107, fra cui proprio la chiamata diretta, non si celebrerà per appena 14 mila firme in meno della soglia richiesta. C’è da chiedersi a chi giovi questo esasperato attendismo, sventolato come vittoria dai sindacati moderati.

La chiamata diretta, come il caporalato, è inemendabile. La mobilitazione per noi è già ripartita.

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