Attualità

No asterisco (*) o schwa (ə) nelle Circolari, ma la scuola non dovrebbe essere palestra di democrazia e di diritti?

È uno di quei giorni in cui la mancanza di Michela Murgia si avverte forte. Personalmente, non credo di aver mai utilizzato l’asterisco (*) o lo schwa (ə) in una comunicazione pubblica né in una comunicazione privata. Questioni di stile o di abitudini, le mie, non so. Eppure, ho profondo rispetto per chi lo fa. Ne colgo la carica inclusiva al pari del messaggio politico che si vuole portare avanti. E mi chiedo, quindi, che cosa avrebbe detto e scritto in queste ore Michela sulla circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito che raccomanda alle scuole di «attenersi alle regole della lingua italiana» e, quindi, di evitare l’uso di «segni grafici non conformi» come l’asterisco o la schwa. Sicuramente, avrebbe detto la sua.

In realtà, non lo posso sapere. Una simile ideale conversazione potrebbe ricadere in una sorta di «colloquio non più possibile», per parafrasare il titolo del libro su Michela pubblicato recentemente da Marinella Perroni (Piemme, 2024). Ma di una cosa sono certo: avrebbe di sicuro messo in evidenza che l’adozione del linguaggio inclusivo non è una questione grammaticale bensì politica. E come darle torto, come darti torto, cara Michela!

La circolare ministeriale non intende riferirsi agli errori grammaticali o ai refusi ortografici, dai quali – ovviamente – non sono esenti le comunicazioni scolastiche, come tutti i tipi di comunicazione. L’intento del Ministero è esplicitamente quello di colpire una scelta consapevole nell’utilizzo di alcuni segni grafici che hanno un significato “politico”; cioè, che vogliono denunciare un particolare assetto di poteri nelle relazioni interpersonali e sociali e, al contempo, esprimere una certa direzione alla società.

In fin dei conti, l’asterisco (*) o lo schwa (ə) ci parlano proprio dei tentativi di decostruire le strutture sociali patriarcali e binarie. E quindi: l’esigenza di superare modelli che si basano sul paradigma maschile; la possibilità di utilizzare un femminile sovraesteso; la valorizzazione delle pretese giuridiche di chi non si riconosce in un genere maschile o femminile rappresentano azioni a favore dell’inclusione sociale.

Lo si fa anche attraverso il linguaggio che, com’è noto, performativo (cioè: costruisce e modifica la società). Peraltro, la sua evoluzione non è determinata dalla norma bensì dall’uso. Non c’è una idea di verità assoluta nella lingua. L’errore finisce per diventare regola. La disobbedienza si risolve in una nuova obbedienza disposta ad essere nuovamente disobbedita. È davvero affascinante la dimensione democratica e popolare dei sistemi linguistici, che sfuggono ai processi di codificazione omologante. La lingua è sovversione!

È una questione di democrazia, di diritti e di politica. I nuovi processi linguistici, più che bloccati, andrebbero analizzati, osservati, studiati. E lo si dovrebbe fare soprattutto a scuola. Senza paura. Senza presunzione. Senza la forzata volontà di imprimere una cultura basata su concetti naturali che di “natura” hanno ben poco. Basterebbe mettersi in ascolto di una realtà sociale che frantuma convinzioni e certezze, per comprendere che ha poco senso rimanere arroccati sulle torri di sabbia di categorie ormai passate. E tutto ciò Michela Murgia lo avrebbe detto meglio di me, ne sono convinto.

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Luigi Mariano Guzzo, professore di Diritto e religione nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa

Luigi Mariano Guzzo

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