“Occorre coraggio e determinazione ed assegnare completa autonomia a un certo numero di istituti scolastici che dimostrino nei fatti che è possibile spezzare le regole dell’organizzazione centralistica della scuola: l’insegnante solitario, che fa lezione in una classe di 25/30 alunni della stessa età, dentro un’aula organizzata con cattedra e banchi allineati, secondo un orario cadenzato da campanelle a scandire un sapere scisso in singole discipline, con poca o nessuna libertà concessa agli studenti nell’organizzazione dei loro studi. Un insegnamento bollato dall’unicità della funzione docente, della quale sono corollario l’uniformità dell’orario di servizio e della retribuzione, nonché la valutazione del merito per anzianità”.
Tuttavia, dice l’Adi, per rompere questi schemi ormai incrostati da decenni occorre creare “istituti scolastici a “statuto speciale”, a cui vanno garantiti avanzati livelli di autonomia:
1. la facoltà di assumere il personale, tra cui esperti, e di retribuirlo con il solo vincolo del livello stipendiale minimo,
2. un orario di servizio onnicomprensivo per una media di 30 ore settimanali da attribuire al nucleo professionale portante degli insegnanti,
3. la possibilità di assumere figure di leadership intermedia con incarico professionale full time,
4. una forte autonomia rispetto al curricolo nazionale, ivi compresi orario e calendario scolastico,
5. un budget complessivo senza vincoli di destinazione e riferito a costi standard,
6. l’autonoma gestione degli interventi di architettura educativa, supportata da adeguati trasferimenti di risorse,
7. un Consiglio di Istituto inteso come Consiglio di Amministrazione, con possibilità di avere sostenitori del mondo imprenditoriale e dell’università.
Permangono ovviamente alcuni vincoli, quali:
1. la valutazione esterna attraverso le prove INVALSI e gli ispettori,
2. gli esami nazionali,
3. l’esclusione di qualsiasi selezione/discriminazione nell’accoglienza degli alunni.
L’iniziativa assume senso pieno se rivolta in primo luogo agli istituti professionali, dove è alto il tasso di ripetenze ed abbandoni, reintroducendo le qualifiche triennali e i diplomi quadriennali e assegnando alla grande maggioranza di queste scuole i curricoli dell’istruzione e formazione professionale regionale in regime di sussidiarietà.
In secondo luogo, spiega l’Adi, lanciare i licei quadriennali, obbligando così a rileggere i modelli liceali attuali e abbandonando l’illusione dei cambiamenti senza vera innovazione.
Infine, non sono esclusi a priori nemmeno gli istituti comprensivi che intendano costruire un ciclo unico, superando le storture della vecchia “scuola media”.