Philippe Meirieu è uno dei più noti pedagogisti francesi, docente onorario in scienze dell’educazione, divenuto popolare presso il grande pubblico per alcuni suoi saggi che hanno fatto discutere tutti, addetti e non addetti ai lavori: molti dei nostri lettori ricorderanno “I compiti a casa”, pubblicato nel 2000 e due anni dopo tradotto in italiano e, più recentemente, nel 2020, “Quale educazione per salvare la democrazia”, di cui abbiamo parlato recentemente su queste pagine.
Ma Philippe Meirieu non si ferma. Instancabile difensore della funzione docente contro gli attacchi della politica e della società, famiglie e alunni compresi, ad agosto scorso pubblica il suo ultimo saggio “Qui veut encore des professeurs?”, il cui titolo, abbastanza esplicito anche per chi non conoscesse la lingua francese, interpella il lettore su uno dei punti più importanti del dibattito sulla scuola: come sia, cioè, possibile, restituire pieno valore a una professione che ha dovuto subire negli ultimi anni le promesse mai mantenute dal Governo e il discredito inflitto da un discorso pubblico devalorizzante. Con la conseguenza che oggi si fatica a trovare giovani disposti a diventare insegnanti.
Philippe Meirieu espone le sue idee in un lungo editoriale pubblicato sul quotidiano Le Monde del 21 novembre scorso. Partiamo dal titolo: Non può esistere educazione senza una moratoria condivisa delle certezze e delle invettive.
In estrema sintesi, Meirieu ritiene che la scuola abbia bisogno di un clima sereno e rappacificato, al riparo dall’atmosfera aggressiva che regna oggi nella nostra società. Questa è l’unica condizione per permettere agli insegnanti di decostruire i pregiudizi dei loro alunni.
Il concatenarsi di avvenimenti tragici che i media e i social trasmettono a dismisura hanno favorito – sostiene il pedagogista – la diffusione di una aggressività senza precedenti nelle relazioni umane, la propagazione di ragionamenti semplici e binari su grandi temi complessi che, al contrario, vengono riassunti in slogan. I più giovani, ma non solo, diventano facili prede di populismi e fanatismi di ogni sorta: grandi temi come i cambiamenti climatici, le guerre, le migrazioni, le questioni di genere, non producono riflessioni che accettino di confrontarsi con la complessità, ma ripiegamenti identitari, scontri e violenze verbali inaudite che soffocano il dibattito pubblico.
Ora – continua Meirieu – la scuola, l’istruzione, l’educazione, richiedono l’esatto contrario: combattere contro le proprie pulsioni primarie, diffidare dei luoghi comuni e di ciò che a prima vista può sembrare evidente, informarsi, prendersi il tempo per riflettere, confrontare serenamente il proprio punto di vista con quello degli altri. Non esiste educazione autentica senza una moratoria delle certezze e delle invettive. Questo è il patto che dovrebbe essere stretto tra docenti, alunni e famiglie.
Così si spiega – conclude il saggista – la frase di Jean Zay (Politico e Ministro della Pubblica Istruzione francese dal 1936 al 1939, assassinato da militanti dell’estrema destra, al Pantheon dal 2015 per volere del Presidente della Repubblica dell’epoca, François Hollande, N.D.R.) secondo il quale le scuole devono rimanere l’asilo inviolabile in cui le dispute degli uomini non hanno diritto di accesso.
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