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Non concordo con Barbero: la scuola deve aiutare gli studenti a entrare nel mondo del lavoro

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Ho sempre stimato e seguito con interesse il mio corregionale e coetaneo Alessandro Barbero e continuerò senz’altro a seguirlo, anche se forse con un po’ meno entusiasmo rispetto a prima.
Sì, il mio entusiasmo è calato quando gli ho sentito dire che1) “il giorno in cui gli studenti non possano più protestare invece di andare in classe sarebbe un brutto giorno” e che 2) “la scuola non è un’azienda. Serve a formare cittadini pensanti, non solo lavoratori”.

Ed ecco la mia riflessione: se gli studenti, invece di andare in aula a seguire le lezioni, vanno a protestare cosa imparano? Nei giorni in cui protestano non imparano un bel nulla!

Barbero stesso dice che la scuola deve formare non solo lavoratori: quindi non solo ma anche. Chissà cosa ne pensano in merito i laureati disoccupati… E poi lui stesso si è formato come lavoratore del mondo accademico, senz’altro per le sue qualità intellettuali ma anche – penso – grazie a quel pizzico di fortuna che a detta di Roberto Gervaso è sempre necessario.
Ripensando alla mia vita lavorativa di traduttore prima ed insegnante poi posso solo ringraziare il liceo linguistico da me frequentato, che mi ha fornito gli strumenti per entrare giovane (a 19 anni) nel mondo del lavoro e iniziare a capire com’è fatta la vita.
Questo prima ancora di frequentare l’università.

Cosa suggerisce di fare il prof. Barbero per quegli studenti – senz’altro cittadini perfettamente pensanti – che però non possiedono nessun strumento, detto brutalmente, per portare a case la pagnotta? Sì, perché il mestiere di cittadino pensante purtroppo non esiste.
Ricordo ancora le parole del mio preside ormai buonanima: “La scuola deve fornire gli strumenti per inserirsi con successo nel mondo del lavoro. Se la scuola non riesce a fare questo ha fallito il suo compito”.
Aveva poi così torto?

Daniela Orla