Mentre attendiamo il CdM del 29 agosto con il quale il Presidente Renzi ha detto “Vi stupirò”, occorre riflettere sulle dichiarazioni governative per comprendere l’ampiezza dei piani di intervento che il governo si appresta a varare. Gli italiani, certamente, condividono con il presidente Renzi che «la scuola è il punto di partenza. Non uno dei tanti punti bensì il punto» (discorso programmatico). E prendono atto che «la scuola non la può cambiare il presidente del Consiglio o il ministro, la devono cambiare le famiglie, gli studenti, i professori» (agli Scout). A rigor di logica, se è così, ci si chiede umilmente da chi dipenda allora la crisi attuale della scuola e quali possano essere gli artefici sani del cambiamento. Il ministro ampliava la prospettiva (alla VII Commissione Cultura e nei diversi interventi di questi mesi): «Questo Governo è il primo, a partire dall’immediato dopoguerra, che mette la scuola e il capitolo dell’istruzione al centro dell’agenda politica. Credo che non si tratti né di una scelta casuale né di un annuncio propagandistico» – ci si chiede perché dovrebbe esserlo… – «ma piuttosto della volontà di essere e mostrarsi coerenti con una visione della società italiana. Espongo le mie linee programmatiche in riferimento al capitolo scuola, ricorrendo a quattro princìpi che considero essenziali per un sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca davvero moderno ed europeo.
Il primo principio è quello della semplificazione. Nella mia visione, semplificare significa resistere alla tentazione dell’ipertrofia normativa. (…) Semplificare significa, quindi, lavorare per ridurre quegli spazi di incertezza normativa che alimentano la conflittualità e il tasso di contenziosi». Ogni buon dirigente scolastico sa che dietro ad ogni genitore spunta non l’angelo custode, ma l’ombra dell’avvocato…
«Il secondo principio è quello della programmazione, che nella mia visione significa smettere di lavorare rincorrendo le emergenze, per darsi quell’orizzonte temporale di cui parlavo, di tipo strategico e finanziario, che corrisponde a un triennio almeno, necessario per trasformare gli aggiustamenti puntuali in soluzioni strutturali.» L’invito è a segnarsi la scadenza in agenda…
«Il terzo principio è quello della valutazione, che significa eliminare i colli di bottiglia esistenti nei vari campi – mi riferisco a quello dell’università, dove già esiste una specifica struttura che può lavorare, ma anche a quello della scuola – e quindi sostituire la procedura dei controlli ex ante – nella scuola (che ormai non esistono più, essendosi estinta la stirpe degli ispettori ministeriali, gli unici – forse – a sapersi orientare nella selva della normativa scolastica) con la procedura della valutazione ex post. Significa anche assegnare le risorse ovviamente sulla base dei meriti e dei risultati ottenuti; significa, altresì, sottrarre risorse sulla base dei demeriti e dei risultati non ottenuti.» Ecco il punto: chi valuterà e sulla base di quali parametri che un dieci in inglese in una certa scuola d’Italia corrisponde a un quattro in un’altra scuola? L’inglese non è sempre lo stesso?
«Il quarto principio, infine, è quello dell’internazionalizzazione, cioè l’apertura del sistema. Riteniamo che un sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca che non sia aperto alla comparazione e alla competizione con il resto del mondo non solo non riesca a generare una maggiore qualità intrinseca sul piano didattico, scientifico e strutturale, ma non riesca nemmeno, fino in fondo, a essere un motore diretto e indiretto dello sviluppo economico e della crescita della società italiana». La scuola italiana quanta “vera cultura” attualmente produce? Occorre che le forze migliori si facciano avanti. E possibilmente a costo zero per lo Stato. «Ritengo che l’Europa sia un contesto necessario, direi indispensabile: è una condizione, un contesto geopolitico di riferimento primario perché le politiche educative e le scelte strategiche in campo di ricerca e di education possano essere efficaci e competitive.»
Conseguenza positiva: «Un modello di scuola e di istruzione più semplice, programmabile, valutabile e aperta al contesto e al resto del mondo. Ciò può avvenire solo attraverso una pluralità di offerta formativa. La legge n. 62 del 2000 sulla parità, cosiddetta «legge Berlinguer», prevede questo modello integrato, che non significa pubblico versus privato. Il sistema privato in Italia non esiste: esiste la scuola statale e paritaria ed esiste l’università statale e non statale. Credo che l’articolo 2 del protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, da cui deriva la piena affermazione della libertà di scelta educativa da parte degli alunni e delle famiglie, nel nostro Paese non sia ancora attuato.» E ancora, in varie occasioni il concetto è chiaro: «E’ sempre più indispensabile compiere un processo culturale che restituisca il corretto significato etimologico alle parole. Pubblico è ciò che è fatto per l’interesse pubblico, quindi non implica necessariamente e solo la gestione statale. O si comprende questo aspetto lessicale o si è come tronchi.
Ripercorriamo a memoria l’audizione del Ministro Giannini alla VII commissione cultura nei suoi passaggi più salienti: dare ragione della centralità della famiglia, sostenere il suo diritto costituzionale di scelta educativa per i propri figli, in una pluralità (ovvio, altrimenti che scelta è?) di offerta formativa pubblica, statale e paritaria. E’ dal 1948 che la Costituzione Italiana (art.30) parla e che la Famiglia aspetta. Noi e la Grecia: i campioni europei.
Dunque, cominciare con la scuola è vitale. «Per troppo tempo, a mio parere, abbiamo continuato a considerare la scuola come una spesa, come un costo, anche oneroso,» – o peggio: come un ammortizzatore sociale, per cui oggi, nelle zone a rischio dove dovremmo avere i docenti migliori, abbiamo ben altro – «e non come un investimento nel capitale umano del Paese, cioè nel suo futuro. »
Ed ecco il punto di svolta, il necessario passaggio dal riconoscimento alla garanzia dei diritti di libertà di scelta educativa e libertà di insegnamento: far parlare il costo standard per ogni allievo della scuola pubblica italiana, statale e paritaria. E’ questo l’“anello mancante” alla possibilità di ristrutturazione del sistema scolastico pubblico. Ed è ormai anello ineludibile nella catena che sosterrà la libertà di scelta educativa in una pluralità di offerta formativa, diritti propri di un Stato europeo di diritto. Si realizza in tal modo la reale liberazione, per lo Stato, da quegli oneri – spesso sulla bocca di alcuni lettori distratti della Costituzione – che, stante la chiusura di molte scuole paritarie con una inarrestabile discesa in picchiata, si stanno riversando pericolosamente sul bilancio. I benefici sarebbero evidenti: 1) la dignità restituita ai genitori di esercitare la propria responsabilità educativa sui figli. Un ruolo ritrovato e una libertà agita; 2) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato; 3) l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole non adeguate ad un SNI d’eccellenza, 4) la valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società, 5) l’abbassamento dei costi e la destinazione di ciò che era sprecato ad altri scopi.
«Le buone idee senza risorse sono prima sogni e poi frustrazioni; ecco perché occorrono dei passi concreti» (Giannini).
Anna Monia Alfieri
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