Nuovo appuntamento con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di educazione dei figli.
Molte delle fragilità dei nostri bambini e ragazzi trovano fra le loro cause uno stile educativo improntato in troppi casi alla deresponsabilizzazione del comportamento. Atteggiamento scambiato spesso piuttosto goffamente per cura amorevole, a casa, o per pedagogia inclusiva, a scuola.
L’idea oggi dominante sembra essere quella di anestetizzare i minori, di non far sentire loro il dolore inevitabilmente connesso con l’esistenza. La realtà brulica di genitori iperprotettivi, che protestano ad ogni piè sospinto con gli insegnanti perché il figlio è stato cambiato di posto o perché il voto è stato 8- anziché 9; o che preparano con cura, la sera, lo zainetto al posto del ragazzo, nel frattempo alacremente impegnato a chattare con gli amici.
L’approccio educativo definito affettivo (fondamentale) sovrasta oggi totalmente (anziché armonizzarsi con esso) quello normativo ed emancipativo (altrettanto importante), che educa ad affrontare le sfide, a rispettare le regole, a muoversi all’interno di vincoli dati (il senso del limite) e a rispondere dei propri atti. In questo modo, all’interno delle famiglie il conflitto con i figli è evitato (apparentemente) e i genitori, con o senza senso di colpa, si sentono illusoriamente più “amati”.
Si tende in effetti troppo spesso a pensare che i feedback correttivi, le regole e i vari “no”, che pur la dimensione educativa dovrebbe prevedere, rappresentino una fonte di trauma potenziale per i minori. Un oblio dell’approccio normativo che contribuisce a renderli sempre meno capaci di affrontare vincoli, battute d’arresto e fallimenti. Tutti aspetti non solo nonostante i quali, ma grazie ai quali si impara a vivere.
L’oblio del principio normativo genera peraltro nei minori disorientamento, senso di dipendenza, frustrazione, ansia. Un sistema educativo incoerente non li aiuta infatti ad acquisire dei chiari punti di riferimento, e, nel tempo, a costruire identità stabili e resilienti.
Secondo Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli, due psicologi impegnati negli studi sull’intelligenza emotiva, ad una educazione integrata fra il principio affettivo e quello normativo sono associati vantaggi nel funzionamento cerebrale del minore. Nelle situazioni di gioco dei bambini in cui un sistema di regole è chiaro, ad esempio, si può osservare nel loro cervello, attraverso l’uso di strumenti di diagnostica per immagini (come la Risonanza magnetica funzionale o la PET), una più accentuata produzione degli ormoni del benessere (come la serotonina, l’ossitocina o la dopamina) e una maggiore attivazione dei lobi parietali. In situazioni non regolate, entrerà invece in maggiore produzione l’ormone dello stress, il cortisolo, con più alta attivazione dei lobi frontali.
Ormai il problema si riscontra anche a scuola, al punto che si scambia non raramente per atteggiamento comprensivo e per inclusione quella che sembra essere invece mera elusione educativa, per esempio di fronte a comportamenti molto negativi degli allievi.
Il provvedimento sanzionatorio costituisce certamente l’ultima ratio e va supportato da una autentica relazione educativa, altrimenti servirà a poco, ma talvolta esso è inevitabile. Anche perché la mancata sanzione di gravi violazioni delle regole sociali di condotta viene naturalmente interpretata dagli allievi (spesso con amara irrisione) come espressione di debolezza dell’Istituzione. E tende a sviluppare meccanismi perversi di contagio sociale e perfino incrementi progressivi del livello di provocazione praticabile, all’insegna dell’impunità: “Facciamolo, dai! Tanto qui non ci fanno niente!”.
Tale elusione o pigrizia educativa è favorita dal fatto che, in genere, è oggettivamente anche più comodo non intervenire, per non avere noie di alcun tipo. Una sorta di pedagogia di Don Abbondio.
Insomma, ascolto e cura, da una parte, e regole e limiti dall’altra, non dovrebbero essere considerati in contrapposizione reciproca, ma espressioni complementari, e in delicatissimo equilibrio, di uno stesso intento educativo. Eppure, spesso si riduce il tutto, banalmente, ad uno scontro manicheo fra “ideologie” contrapposte. Il che favorisce pericolosi sbilanciamenti su un approccio o sull’altro: tendenziale autoritarismo contro tendenziale permissivismo.
Quando Freud scriveva che i mestieri più difficili in assoluto sono nell’ordine: il genitore, l’insegnante, lo psicologo probabilmente non si sbagliava. Mestieri resi oggi ancora più difficili da una società che Freud non ha fatto in tempo a conoscere.
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