I lettori ci scrivono

Non il grembiule, non l’Educazione Civica, ma l’educazione al lavoro!

L’artigianato che ha sempre costituito il fulcro della nostra economia è in crisi.

Gli  artigiani che da  sempre  sono stati considerati   parte integrante del tessuto sociale e tratto identitario del nostro territorio, negli ultimi dieci anni, hanno subito un forte calo.

Il problema della notevole riduzione  del lavoro artigianale e del lavoro in genere,  non è, però,  solo un problema politico, sociale ed economico è, soprattutto un problema educativo, in quanto,  l’educazione non consiste soltanto nell’acquisizione di un sapere, ma è risveglio di forze interiori che conducono ad un potere che si sviluppa dall’intimo come energia creativa.

Dopo lunghi anni di funzionamento uniforme, di omologazione culturale  e dopo ripetute delusioni, l’ eccessivo entusiasmo per il nuovo ha demolito gran parte della scuola tradizionale senza, tuttavia,  riuscire a conciliare  adeguatamente  le due anime del   sapere: quello  fondato sulle conoscenze, acquisite con lo studio,  e  quello  fondato sulle competenze, acquisite con l’esercizio e   l’addestramento delle capacità manuali.

Ciò che, in pratica, manca oggi alla scuola italiana è la chiara  distinzione tra il sapere libresco e il sapere fondato sull’esperienza che nasce dall’attività creativa e dalla capacità di trovare quel giusto mezzo che dia equilibrata soddisfazione a entrambe le esigenze.

Il rapido avvizzire del sapere, gli insoddisfacenti risultati raggiunti dai nostri studenti e l’assenza di stimoli e opzioni educative capaci di promuovere e alimentare l’energia, la forza e la bellezza del lavoro creativo, rappresentano il punto debole e più delicato che affligge il nostro attuale sistema scolastico e pone i giovani in una fase di prolungata e noiosa attesa.

Nella scuola e nella società perché possa circolare un’aria veramente nuova, ognuno deve avere la possibilità di chiedersi quanto sia grande il desiderio di accrescere la propria cultura, non solo puramente intellettuale, e quanto sia forte la voglia di iniziare   un’ attività nell’ordine di uno sviluppo consapevole e responsabile delle proprie attitudini.

Generalmente, la vita dell’uomo è costituita da tre fasi: la prima di preparazione, la seconda di attività, la terza di riposo.

Per testimoniare la positività del lavoro e la gioia che lo accompagna, l’attività, qualsiasi attività, deve iniziare, in una certa misura,  già nella prima fase di preparazione, in quanto, è un ottimo mezzo educativo  che dà un aiuto prezioso per la graduale trasformazione dell’impegno scolastico in studio  e lavoro creativo.

I ragazzi, già a partire dagli ultimi anni della scuola primaria, dovrebbero  cominciare ad abituarsi a vivere di progetti, ad avvertire quell’attrazione, quel leggero senso di ebrezza, quella profonda vertigine della libertà che li possa poi, gradualmente,  spingere a tentare animosamente i primi passi verso il futuro, a  sentire una insaziabile e sempre crescente fame di attività e, soprattutto, la repulsione verso l’oscura minaccia dell’ozio.

È l’educazione e l’orientamento al lavoro che costringono l’uomo ad una continua tensione, ad esercitare le sue forze, a sviluppare le elementari virtù della diligenza, della costanza, della dedizione e della coscienziosità che determinano uno sviluppo consapevole, fissano precisi  compiti di vita e assecondano, nel modo più alto,  le aspirazioni e le tendenze della persona.

L’incertezza, la confusione, l’inerzia e la pigrizia non permettono  assolutamente nessuna nuova esperienza e, a lungo andare, lasciano un  vuoto, spengono la forza propulsiva che eleva e aiuta ad acquisire una giusta consapevolezza delle proprie capacità e degli interessi personali, sulla cui base è possibile fare scelte giuste, meditate e responsabili.

Sembra ben lontana l’epoca di giovani apprendisti, sarti, falegnami, piastrellisti, meccanici, idraulici, elettricisti ecc.  che,  consapevoli delle proprie scelte e desiderosi di vivere pienamente la propria vita,  al sapere libresco hanno preferito il lavoro pratico,  il sapere concreto, attivo e produttivo, hanno affrontato rischi e delusioni e accumulato un capitale di esperienze, una maturazione che ne ha rafforzato e temprato il carattere.

Le esperienze e le conoscenze che si assimilano attraverso lo studio e il lavoro  possono, pertanto, costituire una significativa  e ghiotta opportunità per la nostra vita, colmare le inevitabili lacune di ogni vissuto  personale e rappresentare la forza motrice che mantiene in movimento tutto il nostro essere.

Oggi, in una scuola quasi neutra, né intellettuale né professionale, con poco studio e poco lavoro, una cosa è certa: la maggior parte degli alunni  è priva di quella sensibilità culturale e di quella  gioia personale creativa  che sola può promuovere l’educazione alla dedizione comprensiva e operosa del lavoro, offrire una verace immagine dell’uomo e far crescere e sviluppare, gradualmente, le attitudini produttive.

Nella scuola quasi tutto è da rifare. Non serve a niente pensare al grembiule o all’educazione civica come strumenti per educare alla responsabilità e alla consapevolezza. Non basta appiccicare qua e là parole nuove con un anonimo e indefinito riferimento alle attività pratiche. È necessario inserire organicamente il lavoro nel progetto educativo e collegarlo, per quanto possibile, con l’insegnamento teorico.

La forza educativa del lavoro, il talento e la maturità, le  conoscenze e le competenze si possono raggiungere soltanto attraverso l’impegno attivo.

La scuola, pertanto, deve essere al servizio del lavoro, in quanto, non si può educare nessuno al di fuori del lavoro.

Ogni insegnamento, sia intellettuale che manuale, ha efficacia solo su persone liete del proprio lavoro. Ma come possono provare un sentimento di gioia  civica, sociale e creativa ragazzi abituati a vivere, con rassegnata indifferenza, in un’atmosfera di passività?

 

Fernando Mazzeo

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