I lettori ci scrivono

Non mi riconosco più nella scuola pubblica italiana

Esprimo una libera opinione da persona che lavora da anni con l’infanzia.

Comprendo pienamente i genitori che hanno la possibilità di optare per scuole sperimentali e progressiste ed alternative alle nostre istituzionali (scuole nel bosco, parentali, steineriane, ecc.).

Le scelte politiche degli ultimi anni hanno accelerato la trasformazione della scuola da comunità educativa e pedagogicamente innovativa ad un’azienda digitalizzata, competitiva, uniformante.

Non esiste più la figura del preside che supporta e sostiene i colleghi docenti, ma è divenuto un vero e proprio dirigente che non comprende le situazioni emergenziali  lavorative dei docenti e assomiglia sempre più ad un capo aziendale che comanda e sanziona.

Moltissimi presidi partecipano a bandi che valutano la performance dell’istituto, al fine di ottenere  incrementi e premi stipendiali, caricando i colleghi docenti che lavorano sul campo (in aula, in sezione) di ulteriori incarichi, responsabilità, mansioni aggiuntive e formazioni obbligatorie (spesso corsi imposti e non scelti dai docenti).

Come insegnanti perdiamo così il lavoro diretto con gli alunni, ci troviamo a un raddoppio del carico mansionario ed ulteriori incombenze burocratiche con il solito stipendio da fame.

Tutto questo arricchisce le tasche dei “nuovi direttori”, mentre alla manovalanza del corpo docente resta un nuovo bagaglio di stress e demotivazione, sino ad arrivare a problemi di salute correlati.

Tanti colleghi sgomitano come dipendenti in carriera per dimostrare la loro professionalità e per emergere in modo competitivo, perdendo di vista la principale finalità umana, sociale, creativa ed etica della nostra professione collocata in una comunità educante.

L’imposizione della d.a.d. e le sospensioni dal lavoro da obbligo vaccinale non assolto dei vicinissimi anni precedenti anni hanno accelerato questa impostazione livellante, escludente e intollerante verso le diverse modalità didattiche invadendo la sfera individuale e privata dei docenti.

La digitalizzazione ha creato altresì vere e proprie vetrine, dove tutto è visibile a tutti, dove il docente espone online al pubblico le attività didattiche, come se ci fosse bisogno di controllare l’operato professionale per verificare se quest’ultimo è capace, se nullafacente, se ci si può fidare o se è in grado di fare il suo lavoro in base alle valutazioni dell’opinione pubblica generale.

Ormai pullulano siti scolastici sempre più simili a siti/blog aziendali, alla faccia dei corsi sulla privacy.

Anche le corrispondenze istituzionali, riunioni e materiali didattici sono gestite da società che hanno in mano un’enorme patrimonio economico costituito dai dati personali e quindi un grande potere che supera le istituzioni statali.

Negli istituti ormai entrano varie e grandi società spesso con la facciata caritatevole di dare sostegno finanziario,  ma lontanissime dal mondo etico e pedagogico scolastico. Mentre ai collegi la maggioranza dei colleghi vota a favore di questi ingressi dei privati, senza dubitare, approfondire o informarsi sugli stessi.

Non mi riconosco più nella scuola che disconosce l’infanzia, che persegue bambini digitalizzati, meritevoli (di cosa?) e pronti alla futura professione lavorativa.

I bambini hanno il diritto di conoscere la realtà oggettiva attraverso l’esperienza con la loro corporeità, hanno diritto ad apprendere in modo spontaneo, a sperimentare  la realtà concreta in modo diretto, hanno il diritto di non rientrare e non raggiungere le competenze tecno-digitali ed imprenditoriali che i ministeri e i vari esperti  economisti  hanno redatto per loro, competenze consone ad una facoltà universitaria di settore.

I bambini hanno il diritto di svilupparsi secondo i loro tempi e la loro individualità; la scuola dovrebbe privilegiare l’esclusività di ognuno, non inglobare al fine di appiattire le singole personalità e formare un gruppo unico ed uniforme più facilmente gestibile e controllabile.

Anche qui da parte dei colleghi si assiste ad un’ansia prestazionale dove ogni alunno deve raggiungere ed ottenere le medesime competenze, altrimenti i docenti non dimostrano di aver svolto bene il loro mestiere.

Tale asservimento all’istituzionalizzazione scolastica sempre più burocratica, repressiva, autoritaria e di stampo aziendale sta cancellando completamente il diritto all’infanzia ed il principio di libertà di azione, di pensiero didattico ed operativo delle figure educanti, il cui scopo dovrebbe essere quello di far emergere le potenzialità e accompagnare gli alunni a divenire persone adulte autonome e felici con il loro modo irripetibile di essere, scegliere, inventare, senza traguardi da raggiungere ma sempre in viaggio sulla strada della vita.

Lettera firmata

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