In questo periodo dell’anno, mentre nelle scuole si accende la polemica sui simboli natalizi, nei paesi e nelle città della nostra laica società civile, si respira aria di festa. Le vetrine dei negozi sono tutte addobbate con accattivanti simboli natalizi, le vie del centro risplendono di mille luci e colori, giganteschi alberi luccicanti dominano le piazze principali, artistici presepi fanno bella mostra di sé negli angoli più belli dei centri storici, giardini, finestre, balconi e porte delle case sono allietate da domestiche e festose luminarie: ovunque, è possibile leggere, attraverso ciò che la sapienza popolare ha saputo inventare e tramandare, segni di pubblico culto verso la Divina e misteriosa presenza.
Per la maggior parte degli uomini il periodo natalizio è intimamente legato alle vicende umane, sono giorni di luce, di festa, di doni, di pace, di incontro. La sfera dei sentimenti, generalmente trascurata, si riprende il suo spazio e si manifesta nella sua pienezza vitale: ognuno si sente invitato ad una festa veramente universale.
Si può dire che il Natale risplende di immagini, colori, voci e suoni per tutti: voci di gioia, voci di solidarietà, voci di bontà, voci di accoglienza, voci di speranza, voci di benessere ecc., e ciascuno vi si immerge felice. Queste voci, però, fanno fatica a risuonare nelle aule e negli atri di alcune scuole, tristemente silenziose, vuote e disadorne in nome del rispetto di alunni di diverse confessioni religiose e di una non ben definita laicità della scuola e dell’educazione.
Chi ha responsabilità educative intravede in ciò una evidente e pericolosa contraddizione, un segno di debolezza che spinge l’uomo a seguire falsi cammini che, sicuramente, possono risultare agevoli e comodi, ma, di fatto, deformano il volto più autentico del Natale, inaridiscono il cuore, sminuiscono ogni autentico interesse e cooperazione con la volontà divina e annullano l’intima connessione con una fede e un amore grandissimo.
Le ricorrenze natalizie che possiedono un fascino tutto particolare, da sempre hanno avuto una forte valenza formativa, erano piene di poesia, di aspetti umani autentici e vitali; alunni pellegrini davanti ai presepi, ragazzi in religioso silenzio, commossi a scuola, dinanzi alla piccola grotta, ascoltavano il primo vero messaggio di pace e di amore verso i poveri, verso quelli che soffrono.
Da quel primo presepio ad oggi molte cose sono cambiate. Ci sono ancora uomini poveri, che hanno fame e soffrono, ma inspiegabili e falsi condizionamenti sociali, impongono il rispetto verso indifferenti e freddi seminatori di malcontento, che non riescono a comprendere che la Terra e noi stessi siamo avvolti dal raggio dell’Eterno e che il Figlio di Dio è venuto a portare a tutti un messaggio d’amore.
La scuola in quanto struttura organica finalizzata alla formazione di una coscienza comune, per sollecitare il perfezionamento morale dei suoi alunni, dovrebbe, anche e soprattutto, far riflettere attraverso segni concreti e visibili, sulla bellezza del Natale, sull’importanza di aprirsi verso coloro che sono immersi nel gelido e confuso fluire del tempo e hanno bisogno di aiuto per trovare una luce.
La luce è la gioia che sperimentiamo ogni mattino; tutti per sollevarci dal dolore, dalla solitudine, dalla paura e dalla morte, abbiamo bisogno della luce, quella luce che dà senso al nostro tempo e fa nascere la vita.
Luce e gioia, queste due meravigliose forze del nostro cuore, dovremmo imparare a difenderle con tutti i mezzi.
Allora, perché privare anti ragazzi che, nelle nostre scuole, si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, della gioia e del mistero della luce? Perché impedire loro di aprire questo scrigno pieno di dolci sentimenti, emozioni e vibrazioni che danno gioia e rinfrancano il corpo e lo spirito?
Si può dire che, oggi, paradossalmente, quelle luci così attraenti che illuminano le nostre vie e così desiderose di infondere speranza, nonostante la concessione di lunghe vacanze natalizie, oscurano l’educazione, non sono più quelle stelle che fanno scoprire all’educando la caducità degli eventi, la funzione formativa di una festa che può e deve mantenere viva la sacra scintilla della coscienza che si va spegnendo.
La scuola non può fare a meno di momenti educativi che conducono ad una piena adesione d’amore, che immergono in un clima di gioia, di luce e di speranza.
La decisione di alcuni Dirigenti e docenti di vietare il Presepe a scuola, di cercare con tutti i mezzi di relegare nell’oblio quel patrimonio che ha guidato e continua a guidare il cammino di tanti giovani, umilia e disprezza la memoria di un fatto storico, la nascita di Gesù, ma soprattutto, cancella in modo arbitrario e gratuito quei valori fondamentali che esprimono la forza dell’affetto che la pedagogia religiosa ha sempre curato e trasmesso.
Parafrasando un’espressione di Dostojewski, con profondo rammarico e intima tristezza, potremmo, pertanto, dire: “Che brutta scuola è mai questa dove nessuno la vivifica e la illumina con la luce dello spirito”.
Infatti, chi ha conoscenza profonda dell’animo giovanile, sa quanto la pedagogia del soprannaturale possa offrire pagine stupende in cui l’alunno ha la possibilità di sperimentare quanto sia bello e naturale accogliere e far propria la scienza della vita. E la riflessione sul Natale, più di ogni altro argomento, ha la forza di orientare lo sguardo sulla bellezza e sulla grandezza della vita umana, fortifica il giudizio morale e dà un’impronta sicura e coerente al proprio agire.
Bisogna, in pratica, riconoscere che il funesto errore di combattere i simboli religiosi poco giova, atrofizza la vita e occulta i sentimenti.
È un fatto innegabile che, attraverso l’esperienza concreta di importanti segni e verità storico-religiose, l’uomo si apre alla volontà buona, non è più un passante sfiorato dalla vita, ma un pensiero, una potenza, una bontà sempre presente e viva.
Fernando Mazzeo
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