“Merito”, “Valutazione”, “Premialità” ricorrono tra le problematiche caratterizzanti l’azione del Ministero dell’istruzione e dell’università: focalizzano il possesso delle necessarie competenze per assolvere il mandato che il lavoratore ha ricevuto.
Si tratta di un principio di validità generale che i ministri, come nella favola del lupo e dell’agnello, hanno proiettato sugli operatori delle scuole.
Il testo del Ddl La Buona Scuola è occasione per invertire il flusso, per soppesare il valore degli autori del documento.
Il titolo del disegno di legge fornisce un primo, inequivocabile elemento di giudizio. All’annunciato riordino delle disposizioni legislative vigenti è affiancato un modello agli antipodi di quello disegnato dal legislatore. La legge 53/2003 ha posto a cardine dell’istituzione le qualità dei giovani. Le capacità, che si manifestano sotto forma di competenze, generali e specifiche, ne esprimono la sostanza. Questa l’origine dell’identificazione delle scuole come sistemi educativi d’istruzione e di formazione.
L’educare è gerarchicamente sovraordinato a istruire e formare, funzioni il cui significato, in questo contesto, deriva dalla strategia educativa adottata.
Il termine/concetto educazione è stato cassato nel titolo della proposta governativa, titolo che, sintetizzando il contenuto del testo del provvedimento, rende manifesto il cambiamento di prospettiva e svela il senso del disegno di legge: avversare, banalizzando, la volontà del legislatore. Il governo è organo esecutivo il cui compito primario è quello di dar attuazione alle leggi.
Il rafforzamento della funzione dirigenziale, oltre ad essere sintomo della mancata percezione della sostanza della gestione d’una scuola, contravviene i dettami della scienza: per autoregolare un’organizzazione complessa si devono incrociare le responsabilità dei diversi operatori.
Le norme che disciplinano la gestione della cosa pubblica sono andate di pari passo con la dottrina, maturazione richiamata dal decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150, attuazione della legge n° 15 del 4 marzo 2009: Dirigenza pubblica – art. 37 (Oggetto, ambito di applicazione, finalità) che “rafforza il principio di distinzione tra le funzioni d’indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza”.
Il senso del disegno di legge è confermato: avversare la volontà del legislatore per difendere l’esistente.
Revisione del quadro normativo? No, lo si vuole sovvertire.
Il D.P.R. 275/99, attuativo della legge 59/97, art. 1 (natura e scopi dell’autonomia scolastica) stabilisce che “l’autonomia delle istituzioni scolastiche si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione d’interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana”.
Norma che, immersa nella struttura decisionale prevista dal T.U. 297/94, attribuisce la responsabilità
– della progettazione formativa al Consiglio di Circolo/di Istituto che “elabora e adotta gli indirizzi generali” e li esprime sotto forma di competenze. Traguardi che persegue con la definizione dei “criteri generali della programmazione educativa” e con il disegno d’una struttura organizzativa ed essi funzionale;
– della “programmazione dell’azione educativa” al collegio dei docenti che, oltre a ipotizzare itinerari d’apprendimento volti alla promozione delle qualità sottese alle competenze generali indicate dal Consiglio di Circolo/di Istituto, ne “valuta periodicamente l’andamento complessivo… per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica”;
– della progettazione dell’istruzione al consiglio di classe che adatta i traguardi indicati dal Collegio alla specificità degli studenti con cui interagisce “realizzando il coordinamento didattico e i rapporti interdisciplinari”.
Il “rafforzare la funzione del dirigente scolastico” assume il suo aspetto dirompente solo se si capitalizza il vissuto delle scuole.
Gli ordini del giorno che tutti i presidi hanno da sempre predisposto per convocare gli organismi della scuola non hanno mai contenuto gli adempimenti obbligatori previsti. Sistematica applicazione del principio: per scoraggiare la partecipazione e conservare la collocazione al vertice dell’organizzazione sono da costituire organi incapaci di incidere sui processi decisionali.
Il senso della proposta appare lampante: premiare i presidi che, sistematicamente, hanno avversato la legge, disarmando gli istituti scolastici sul fronte del vorticoso cambiamento e dell’incessante crescita della complessità dell’ambiente socio-economico-culturale.
Carico di significato è l’aver scelto come riferimento la legge 59/1997 che all’art. 1 stabilisce “il Governo è delegato a emanare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”... Si tratta di una disposizione a validità limitata, i cui fondamenti e energie ora risiedono nel DPR attuativo.
Perché far riferimento a una legge senza efficacia?
Riaffiora la volontà sovversiva, la volontà di modificare la sostanza dell’autonomia: si vuole tornare al passato, scoraggiare la partecipazione di genitori e studenti, semplificare, banalizzando l’organizzazione scolastica, negare la complessità del problema educativo, respingere i procedimenti scientifici per il trattamento dei problemi di grandi dimensioni, svilire le elaborazioni delle precedenti legislature.
La proposta ministeriale non tiene in considerazione l’orientamento del sistema educativo, banalizzandone la mission.
In rete: “La scuola regredisce” giustifica la negatività del giudizio.
La struttura organizzativa indicata dalla legge, assegna al dirigente il compito di:
– vincolare gli organismi collegiali alle loro responsabilità, – indirizzandone l’attività con ordini del giorno mirati, – garantire la legittimità delle decisioni che hanno assunto,– accettare e assumere la responsabilità del coordinamento, dell’unificazione gestionale, della rappresentanza, d’insufflare lo spirito vita agli organi di governo, – dar attuazione alle loro delibere.
Contraria alle norme vigenti è l’attribuzione alla dirigenza delle “responsabile delle scelte didattiche e formative”: un esproprio che toglie la funzione strategica al consiglio di circolo/d’istituto e che declassa la funzione docente, mortificandola.
Valorizzazione del merito [art. 11] “sulla base dell’attività didattica in ragione dei risultati ottenuti in termini di qualità dell’insegnamento, di rendimento scolastico degli alunni, di progettualità nella metodologia didattica utilizzata, di innovatività e di contributo a miglioramento complessivo della scuola”.
Si prenda a modello quanto avviene al di fuori della scuola: ogni lavoratore deve render conto del suo operato al suo diretto superiore. Egli conosce funzioni, compiti e responsabilità del suo ufficio. La valutazione deriva dallo scostamento rilevato tra risultati attesi e risultati conseguiti.
Una prassi inconciliabile con la proposta governativa a causa dell’assenza di un preciso quadro di riferimento.
La struttura decisionale elaborata e codificata nella legge vive di comunicazione:
1- il consiglio di circolo/istituto comunica al collegio i traguardi cui orientare la propria “programmazione dell’azione educativa”, accompagnati dalla precisazione delle responsabilità operative dell’organismo [criteri generali della programmazione educativa];
2- il collegio dei docenti comunica ai consigli di classe l’elenco delle capacità, sottese alle competenze generali, cui unificare gli insegnamenti;
3- consiglio di classe adatta i traguardi educativi alla tipicità degli studenti che gli sono stati affidati e li comunica ai singoli docenti. Sono l’oggetto del mandato loro affidato;
4- il docente, rilevati gli esiti della propria progettazione didattica, comunica al consiglio gli scostamenti rispetto agli obiettivi programmati. Una scheda esemplificativa della comunicazione compare in “La scuola digitale“;
5- il consiglio di classe suddivide le misurazioni dei docenti in base alle diverse capacità. Per ogni raggruppamento ne valuta l’omogeneità interna e studia l’origine di eventuali, notevoli differenze. Introduce misure per migliorare la strategia di coordinamento;
6- il consiglio di classe comunica al collegio dei docenti l’esito dell’attività svolta;
7- il collegio dei docenti, sintetizzati i risultati dei singoli consigli di classe ne “verifica l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati” e ipotizza “misure per il miglioramento dell’attività scolastica”;
8- consiglio di circolo/d’istituto e collegio dei docenti, in seduta comune, discutono del rapporto tra le competenze generali e l’evoluzione delle capacità.
Razionalità vorrebbe che la valutazione dell’attività dei singoli docenti avesse a riferimento i risultati del loro lavoro, elaborazioni documentate, intese come risposta a quanto contenuto nelle comunicazioni, ufficiali e formalizzate, intercorse tra i diversi soggetti della struttura decisionale.
I criteri di valutazione elencati nel Ddl sono indeterminati, perciò arbitrari. L’elusione delle disposizioni relative alla struttura organizzativa sopprime tutti i vincoli cui il dirigente scolastico deve sottostare. Ne consegue che l’obbedienza, non la responsabilità, fornisce il parametro di riferimento.
Si potrebbe continuare ma gli elementi presentati sono sufficienti per dar consistenza all’argomentazione. Il governo, in continuità con quelli che l’hanno preceduto, non ha operato come organo esecutivo e non ha individuato l’origine dello stallo in cui versa la scuola.
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