Lo affermava Seneca e lo ripeteva sempre lo statista comunista Antonio Gramsci scrivendo una lettera alla nipotina Mea, nella quale la esortava ad impegnarsi nello studio affermando: “Carissima nipotina, ti esorto a studiare non per la scuola ma per la vita”.
Avevano ragione sia Seneca che Gramsci che si studia per la vita poiché è la vita che ci pone di fronte alle sfide. Prendere un brutto voto tale da pregiudicare la bocciatura può avere dei risvolti positivi per l’alunno tali da fargli capire che il prossimo anno deve studiare e impegnarsi di più.
Bocciare non è una cosa bella, ma i docenti devono saper ben distinguere la valenza della bocciatura, cioè se far ripetere l’anno ad un alunno possa servire a farlo maturare e irrobustire la sua preparazione oppure non serve a nulla in quanto non apporta segnali positivi. Spesso i ragazzi quando vengono bocciati si scoraggiano, entrano nella fase dello sconforto, della rabbia, della convinzione di non potercela fare e così possono arrivare a compiere gesti inconsulti.
La bocciatura per l’alunno consapevole di non aver studiato deve, invece, essere da sprone, da incitamento, da rincorsa a fare meglio, a studiare con maggiore impegno, a riempirsi di orgoglio, di voglia di superare l’altro. Bocciare, tuttavia, è indicatore di sconfitta, di frustrazione, per l’alunno, la scuola e la società.
Purtroppo i ragazzi devono capire che la scuola è per loro un’opportunità di crescita, devono capire che studiare è importante per la loro stessa vita non per la scuola. Farsi bocciare è veramente brutto perché è come se gli alunni non accettassero le sfide della vita, le competizioni, non avessero più quell’orgoglio personale che li spinge, li incita a mettersi in gioco con i pari e dire “se io studiassi diventerei bravo come il mio compagno”.
Invece, molti ragazzi, nonostante abbiano insegnanti che li spronano, li appassionano, non voglio saperne dello studio, ma devono essere in grado di comprendere che senza la scuola non c’è futuro.
Mario Bocola
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