Non si fanno mai i rinnovi contrattuali in campagna elettorale.
Per ovvi motivi, perché da un lato c’è una sorta di gioco di rimessa, nella speranza che, con qualche concessione, vi sia qualche voto in più per il partito di governo, e dall’altra, perché, appunto, si legittima l’idea che il tema della formazione delle giovani generazioni, cioè del presente e futuro di un Paese, non sia una priorità, ma solo un voto di scambio.
Eppure, sono dieci anni che si attendeva il rinnovo contrattuale, ma sapendo che anzitutto questo rinnovo avrebbe dovuto essere funzionale alla valorizzazione delle professionalità in relazione al valore, appunto, della formazione, quindi all’effettivo “servizio pubblico”.
Invece, in realtà, al di là di adeguamenti stipendiali di pochi euro, il nuovo contratto rappresenta un passo indietro, perché non valorizza chi, tra presidi, docenti e personale non docente, investe sul “bene scuola”. Addirittura, vi è un ritorno alla vecchia distribuzione a pioggia, opzione che era stata anche normativamente negata, come viene ridimensionato il “principio di responsabilità”, essenziale, oggi più di ieri, in qualsiasi contesto, non solo lavorativo.
Un rinnovo contrattuale, dunque, dal sapore elettoralistico, che continua sulla scia assistenzialistica, vera spina nel fianco della società italiana, soprattutto al centro-sud.
Un contratto-contentino, dunque, che, paradossalmente, scade già alla fine di quest’anno.
Al di là del gioco facile delle mille promesse elettorale di questi giorni, c’è veramente qualcuno, tra i partiti che si candidano alla guida del Paese, che ha un’idea in positivo sul “bene formazione” e sul presente e futuro delle giovani generazioni?