Non posso e tutte non possiamo, mi ripeto, accettare che l’unico settore dirigenziale, quello scolastico, a prevalenza femminile scompaia dietro l’utilizzo prevalente del titolo al maschile. Sì perché si firma “il dirigente scolastico’ la quasi totalità delle dirigenti della scuola media inferiore ed il 70% di quella superiore e, dietro di loro, troviamo spesso le donne ‘collaboratori’ .
Ho affrontato la questione su Twitter e la rivista “noi donne” vedendo pochi cambiamenti e ottenendo più spesso l’approvazione di chi già era d’accordo. Del resto a poco sembra essere anche servito l’invito per circolare nel 2018 dell’allora ministra Fedeli ad un maggior rispetto anche linguistico della differenza di genere e le relative linee guida del Miur.
Ho anche inoltrato il mio articolo a numerose scuole senza riceverne risposta. Adesso provo a raggiungere le (anzi “i”) dirigenti scolastiche (scolatici) con questa rivista che non manca mai sulle loro scrivanie. Voglio farlo perché ci tengo, sono un’insegnante stufa di leggere o sentire nei collegi della presenza di un dirigente maschio che non c’è, e perché credo che un’istituzione in prima fila contro gli stereotipi non possa retrocedere così.
Sì, RETROCEDERE, perché le direttrici, le presidi di prima dell’autonomia non alteravano il loro titolo senza menzionare il loro genere sessuale. Tra l’altro così facendo, si fanno strafalcioni grammaticali (mancata concordanza articolo-nome proprio) che nessuna scuola lascerebbe correre.
Queste sono le osservazioni più evidenti, poi c’è il rammarico di constatare quanto questo atteggiamento vada contro tutti quei raffinati pensieri sulla differenza di genere che proprio dalla scuola hanno avuto origine.
Alma Sabatini, autrice nel 1987 de Il sessismo nella lingua italiana, era insegnante, così come sono insegnanti quelle e quelli dell’autoriforma gentile, i partecipanti al progetto POLITE che portò all’accordo con l’AIB sui libri di testo, io stessa con Stefania Zambardino, altra insegnante, curammo per l’INDIRE la biblioteca pari opportunità nella scuola.
Solo per citare alcune tappe dello sviluppo del pensiero sulla differenza di genere, tappe che rendono inaccettabile questo passo indietro. Ancor più inaccettabile se pensiamo alle ragazze che proprio dalla scuola dovrebbero trarre quello slancio che faccia sentire loro che il mondo le prevede e fa loro posto a partire dal linguaggio.
Stefania De Biase