Di recente, il ministro Bianchi ha chiesto il sostegno degli studenti per portare avanti la “riforma” della scuola che ha in mente. In cosa dovrebbe consistere questa “riforma”?
Fondamentalmente, nell’eliminazione progressiva delle discipline, nello smantellamento dei gruppi classe, nella fine di una fantomatica didattica “frontale”, nella digitalizzazione spinta.
In realtà, dietro a formule ambigue quando non mistificatorie (come quella delle “competenze non cognitive”), che tentano di far passare per “progresso” la distruzione della scuola pubblica, sembra che ultimamente si punti a sostituire l’istruzione e la relazione educativa con una formazione affidata a enti, aziende, a programmi di “intelligenza artificiale” e a “pacchetti” didattici preconfezionati, poverissima e standardizzata, che scimmiotta il linguaggio e gli scopi dell’azienda e che finge di preparare precocemente al lavoro; il tutto utilizzando le risorse del PNRR, attorno alle quali si muovono già numerosi appetiti (mentre fare quello che sarebbe realmente necessario, ad esempio ridurre il numero di studenti per classe, sembra non interessare a nessuno).
La riforma che ha in mente Bianchi, comunque, dovrebbe avvenire, secondo le parole del ministro, in modo “affettuoso”.
È probabile che, conoscendo poco la scuola e le sue dinamiche, Bianchi non sappia che l’affetto degli insegnanti e la relazione tra insegnanti e studenti passano esattamente attraverso l’alfabetizzazione, l’istruzione, la cultura, la condivisione della ricchezza delle conoscenze (quella che il ministro confonde spesso con il nozionismo): voler bene agli studenti significa volere il LORO bene, cioè la loro crescita umana, che non avviene nel vuoto, ma è sostanziata dal confronto con dei contenuti culturali significativi.
L’affetto, insomma, è tutt’altra cosa rispetto a quello evocato confusamente dal Ministro.
Terribile invece se qualcuno pensasse di chiedere l’aiuto, per lo smantellamento della scuola, di coloro che ne saranno enormemente danneggiati, puntando sulla loro inconsapevolezza della posta in gioco e sull’illusione, fatta balenare loro davanti, di una scuola “facile” perché inesistente. L’esatto opposto di quanto dovrebbe fare un educatore.
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