Home I lettori ci scrivono Non vogliamo né i premi né le scuole-vetrina

Non vogliamo né i premi né le scuole-vetrina

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Non avevamo alcun dubbio che la “riforma” del reclutamento e della formazione dei docenti proposta dal Ministro Bianchi avrebbe subito successivi peggioramenti in itinere. Adesso abbiamo la certezza che i lungimiranti ed onerosi investimenti, a lungo sbandierati dal Ministro, per far credere agli allocchi che una nuova stagione per la scuola pubblica stesse iniziando, si baseranno su qualcosa che ben conosciamo – e cioè sul loro contrario, vale a dire sui tagli alla spesa.

La politica scolastica in Italia, almeno a partire dall’inizio degli anni Novanta, non l’hanno fatta i ministri dell’Istruzione ma le leggi di Bilancio. Sempre all’insegna dello stesso refrain: “tagli, tagli, tagli”. Non è un caso: con gli anni Novanta il neoliberismo diventa ideologia dominante: si tratta di una ideologia grezza, ben riassunta dalla signora Thatcher già negli anni Ottanta: “La società non esiste”.

Vale a dire, esiste soltanto l’individuo, che entra in competizione con altri individui per conquistare il suo posto al sole. Perché dunque investire soldi nella scuola e, più in generale, nei servizi pubblici? Nella versione italiana il neoliberismo non rinuncia però, in ambito scolastico, ad abusare di un lessico che non gli appartiene. Per questo motivo Patrizio Bianchi, l’ultimo epifenomeno di una teoria di inconsistenti ministri, può parlare di inclusione, di “scuola affettuosa” e, addirittura di “spirito critico”.

Oggi passiamo dalle parole ai fatti. Bianchi afferma: “Nel Pnrr abbiamo fatto un piano per l’istruzione che ha tre pilastri: formazione, formazione e formazione”. Parole! Chiunque abbia letto il decreto su reclutamento e formazione si sarà reso conto che i docenti vivranno sotto pressione dal momento in cui decidono di intraprendere la strada dell’insegnamento alla pensione; la formazione sarà, molto probabilmente, all’insegna di una pedagogia di Stato e sovrapposta al loro faticoso lavoro.

Una cosa è certa: ormai nemmeno il lattaio dice all’insegnante: “Beato Lei che lavora mezza giornata”. Gli unici a credere che gli insegnanti facciano un lavoro part-time – e che quindi, lavorando mezza giornata, possano dedicare l’altra mezza a seguire fumosi corsi di aggiornamento – sono Brunetta e i ministri dell’Istruzione. Sempre ieri Bianchi ha giurato che tagli non ne esistono. Peccato che, sul testo del Decreto si legga a chiare lettere che agli oneri derivanti dall’esigenza di “premiare” una tantum i docenti più zelanti ( quelli che si sottoporranno volontariamente all’aggiornamento di Stato) “si provvede mediante razionalizzazione dell’organico di diritto effettuata a partire dall’anno scolastico 2026/2027″. Da tempo sappiamo che si scrive “razionalizzazione” e si legge “tagli”. Cambiamo argomento: ieri Bianchi presentava a Milano un “progetto-fiore all’occhiello”: le 195 scuole, realizzate da “un pool di rinomati architetti, in sinergia con chi si occupa quotidianamente di pedagogia ed economia”.

Sempre la stessa sciocca idea dei “progetti vetrina”: si rendono pochissime scuole all’altezza dei tempi, ignorando lo stato di degrado di tutte le altre. Riprendiamo i dati della Fondazione Agnelli, nel rapporto sull’edilizia scolastica del 2019: il costo stimato per la ristrutturazione degli edifici scolastici ammontava allora a 200 (duecento) miliardi di euro. Altro che i pochi miliardi messi a disposizione dal PNRR! E poi gli edifici scolastici in Italia sono più di 39.000. A cosa ci servono 195 scuole- modello se non per nascondere le magagne che gravano su decine di migliaia di altre? Sappiamo che faccia si cela dietro l’apparente bonomia del ministro Bianchi: la faccia di chi vuole che la scuola sia sottomessa al calcolo economico, di chi fa finta di credere nei valori democratici e poi propone una organizzazione del lavoro docente all’insegna della competizione e del “premio” (quasi gli insegnanti fossero bambini iscritti ad una corsa campestre), di chi parla di “spirito critico” ad ogni piè sospinto e si adegua invece alla logica del mercato.

La scuola ha bisogno di superare una gravissima emergenza educativa, sta diventando, anno dopo anno, un mero recinto di contenimento per le giovani generazioni e invece dovrebbe essere un sereno luogo di crescita e di trasmissione del sapere collettivo. Ha bisogno di personale formato e retribuito adeguatamente, ha bisogno di essere al centro della dialettica sociale per diventare quello che dovrebbe essere, il luogo in cui si appianano le diseguaglianze ed il motore primo di una società più giusta.

C’è un solo modo di far sentire le giuste ragioni dei lavoratori della scuola: la visibilità della protesta. A differenza di altri sindacati che fanno la voce grossa ma poi si adeguano all’esistente, la Cub SUR sarà in piazza il 6 maggio 2022.

Chiediamo che il governo rispetti la dignità della scuola e dei suoi lavoratori con impegni concreti, a cominciare dalla restituzione di ciò che lo Stato ci deve in termini economici e di condizioni materiali del nostro lavoro.

Giovanna Lo Presti, Portavoce CUB Scuola