Dobbiamo far finta anche quest’anno di essere felici? Possiamo ancora dire Buon Natale? Attenzione. Oggi, a motivo della sfiducia, corriamo un grosso rischio. Quello di non riuscire a trovare più senso in ciò che, fino ad ora, ha motivato l’esistenza. Mi riferisco a quel complesso di stili di vita, di semplici riti comportamentali, che sono alla base del costume sociale.
Per questo, la festività del Natale ha sempre svolto un compito importante per l’equilibrio mentale. E’ come un test annuale che rivela alle persone quale atteggiamento hanno assunto di fronte alla realtà. Si. Il Natale ripropone, ogni volta, la domanda delle domande: Cosa possiamo sperare? Che senso ha la mia vita? A queste domande, si è sempre reagito con un gradiente di risposte che oscilla dal livello del costume (gastronomia, regali, visite) a quello dei valori (famiglia, fratellanza, umanità), per finire a quello delle domande fondamentali sul senso dell’esistenza.
Oggi, cosa è rimasto di tutto questo? Senza dubbio, quello attuale, è un Natale incerto e deludente. Del resto, già prima, il Natale aveva qualcosa di problematico. Pareva un mito che andava scolorandosi, anno dopo anno. Qualcuno, parlando di questa festa, ricorreva alla similitudine del quadro e della cornice, affermando che mentre il quadro, cioè il mistero ricordato (Dio che si fa uomo), a causa della generale crisi della fede, si andava progressivamente oscurando, invece, la cornice, cioè il contesto dei festeggiamenti (luminarie, doni, auguri, clima di festa e di fraternità …), per compensazione, si estendeva sempre di più. Negli ultimi anni, sembrava rimasta solo la cornice.
Nei centri commerciali, luminarie e decorazioni iniziavano quasi due mesi prima. Alla fine, ne era scaturito un Natale sempre meno teologico e sempre più sociologico. Sempre meno Gesù Bambino e sempre più Santa Claus, luminarie, festoni, viaggi esotici, mutandine rosse … E, quando davamo gli auguri, è come se dicessimo semplicemente: ciao o buona fortuna. Ma, siccome la cultura ha una sua logica inesorabile, qualcuno ipotizzava che, a breve, non si sarebbe neanche più parlato di Natale ma di Vacanze invernali o di Festa del Nonno Gelo.
Poi, a partire dall’inizio del millennio, è successo quello che è successo. Prima, le torri gemelle, la minaccia islamica, le migrazioni di massa … Quindi, una crisi economica sempre più stabile, aziende chiuse, disoccupazione … Infine, è arrivato un virus che ci ha riprospettato lo spettro della morte, come nel lontano passato. Si sono così, man mano, smaterializzate abitudini radicate, tipiche del nostro modo di vivere, basate sulla relazione, sul divertimento, sull’evasione.
Comportamenti questi, tutt’altro che insignificanti perché svolgevano un ruolo sociale importante. Costituivano le valvole di sfogo della tensione sociale. Servivano a mascherare le sconfitte della vita ed i vuoti interiori. Ora, invece, privati anche di questo, rischiamo la depressione e la solitudine di massa.
Poniamoci una domanda. Quanto sta accadendo ci consente di vivere il Natale? Certo, non è possibile festeggiarlo con la spensieratezza di sempre. In compenso, da ciò che stiamo vivendo, possiamo trarre un messaggio vitale. Quello del carattere generativo degli eventi drammatici.
Si. Dobbiamo riscoprire la forza propulsiva delle esperienze negative. Convinciamoci di una cosa. Le persone crescono perché incontrano difficoltà. Le aziende si ristrutturano grazie alle crisi. Le nazioni sono sorte perché hanno avuto dei nemici. I grandi balzi in avanti della civiltà, sono avvenuti in seguito a catastrofi di portata inimmaginabile. Un esempio per tutti. La peste nera di metà Trecento che quasi dimezzò la popolazione europea. Montagne di morti, sepolti a mucchi ed in modo anonimo. Eppure, proprio grazie a quella tragedia, è esplosa una incontenibile voglia di vivere che ha generato uno dei periodi storici più decisivi per la civiltà. Il Rinascimento.
La stessa nascita di Gesù, ricordata nella festa di Natale, in che contesto è avvenuta? In un momento in cui, la civiltà romana, pur essendo al culmine della vigoria organizzativa, economica e militare, dal punto di vista dei valori fondanti, era allo stremo. Dominava lo scetticismo. Un quadro simile all’epoca in cui viviamo, in cui l’unica forma di conoscenza consentita è quella di natura percettiva e sperimentale. Mentre non esistono più certezze sulle spiegazioni prime della realtà.
Ma, in fondo, cosa è il Natale? La nascita di un bambino. Ed ogni bambino che nasce coincide con un nuovo inizio della vita. L’anima del Natale è l’idea che si può ricominciare da capo. Proiettarsi in avanti, credere in un domani migliore, è tutt’altro che menzogna consolatoria. E’ la sostanza stessa del cuore umano, il modo normale di funzionare della mente, un importante rivelatore dello stato di salute mentale. No, il Natale non è roba da bambini. E’ ricerca di novità e di futuro. E’ l’uomo che, ogni anno, con rinnovata fiducia, “dice si” al mondo ed agli altri.
Luciano Verdone
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