I posti messi a bando dalle università italiane per il ciclo di specializzazione sul sostegno 2020/21 sono in totale 19.585 fra scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado, mentre il costo di iscrizione al corso si aggira mediamente attorno ai 3.000 euro; le prove preselettive si terranno il 2 e 3 aprile prossimi e le lezioni, che partiranno come di consueto dopo qualche mese, termineranno entro il mese di maggio del prossimo anno.
Tuttavia, fa notare Linkiesta, mentre in Sicilia i posti sono 4.675, in Lombardia sono solo 1.090, con evidente contraddizione “numerica” considerato che in Lombardia gli studenti alle prese con qualche tipo di fragilità sono 43.000 e in Sicilia sono 27.000. In Piemonte invece saranno appena in 205 a specializzarsi.
Anche l’Anp, l’associazione nazionale presidi, critica: le cattedre da coprire sono al nord e i docenti al Sud, cosicchè si riaprirebbe l’unica strada percorribile, quella delle supplenze da assegnare a docenti privi di adeguata e specifica preparazione.
«Servirebbe una scelta di campo – suggeriscono gli esperti – evidentemente promossa dal Miur, per inserire questo tipo di corso nell’offerta universitaria ordinaria. Per capirci, lo scenario potrebbe essere il seguente: chi vuole intraprendere la carriera di insegnante di sostegno si iscrive all’università e frequenta regolarmente le lezioni per conseguire il titolo, esattamente come fanno gli studenti che scelgono altre facoltà».
«Da oltre un decennio – dice la segretaria della Flc-Cgil di Milano nonché componente del Consiglio superiore della pubblica istruzione – la scuola italiana ha dovuto fare i conti con tagli che noi stimiamo in circa 8 miliardi di euro. L’emergenza di questi anni, con la maggior parte delle cattedre sul sostegno assegnate ai precari, è figlia di scelte politiche sbagliate. Bisogna cambiare approccio e favorire le stabilizzazioni, valorizzando innanzitutto l’esperienza maturata in tanti anni di insegnamento. Quanto ai corsi di specializzazione, sarebbe forse il caso di aprire una discussione sui criteri di attribuzione dei fondi al sistema universitario, pur rispettando l’autonomia gestionale dei singoli atenei. I segnali che arrivano dai ministri interessati e più in generale dal governo al momento non sono incoraggianti».
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