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Novara: stop ai voti. Un numero non è nulla, è un equivoco istituzionalizzato e le interrogazioni sono fatte per inerzia

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Il pedagogista Daniele Novara ha di recente concluso un convegno a Piacenza con mille insegnanti dal titolo significativo: “La scuola non è una gara“. Dall’evento è partito un appello, che ha già raccolto 9mila firme: “A scuola dobbiamo stare bene anche nella fatica dell’imparare. Stare bene è l’unica condizione per farcela”, questo il concetto espresso dall’esperto.

Novara e il cortocircuito dei voti

“I ragazzi non considerano il voto numerico un elemento di valutazione, per loro il voto non coincide con quello che pensano di valere. Si tratta di un cortocircuito rispetto alle loro potenzialità, non rappresenta quello che loro sono, i ragazzi su questo hanno ragione. La valutazione numerica cristallizza e crea ansia”, ha detto Novara a La Repubblica.

Ecco altre affermazioni a supporto della sua tesi: “Abolire il voto come numero significa uscire da uno schema di scuola fatta di interrogazioni, compiti in classe, compiti a casa, note. Una terminologia che utilizziamo come fosse scientifica mentre non ha nessun riscontro pedagogico. Alle medie, poi, non ha nemmeno un riscontro normativo. L’interrogazione è una procedura inerziale di cui non si conosce la base scientifica e pedagogica. È come se in un ospedale io continuassi a fare solo radiografie invece che risonanze magnetiche perché una volta si faceva così. La scuola ha bisogno di una svolta radicale di fronte a questa generazione di studenti”.

“Attenzione, la scuola senza voti non significa una scuola senza valutazione. La valutazione è un diritto che deve considerare l’evoluzione del percorso scolastico e basarsi sulle caratteristiche di ogni alunno. I voti cristallizzano un singolo momento, una valutazione evolutiva invece è in grado di considerare tutto il percorso. La restituzione deve essere narrativa, un insegnante deve spiegare allo studente cosa sta facendo, che progressi ha fatto. Alle superiori persiste la normativa sulla media matematica su cui tra l’altro i genitori fanno ricorso. Se prendi un 2 o un 3 all’inizio del secondo quadrimestre secondo la media sei spacciato. Questa sorta di cristallizzazione del giudizio in un numero cosa restituisce? Cosa vuol dire un 3, un 4 o che differenza c’è tra un 3 e un 5? E il 5 e mezzo o il sei meno meno è sufficiente oppure no? Un numero non chiarisce nulla sull’apprendimento e la crescita di uno studente, è un equivoco istituzionalizzato”.

“La scuola non è una gara sportiva”

“La scuola non è una gara sportiva dove alla fine c’è un vincitore, a scuola devono vincere tutti. Il mio suggerimento è dare una valutazione a fine anno sulla base dei progressi che farà uno studente: già adesso le scuole possono sospendere le pagelle intermedie. Va evitato il pasticcio di una continua e sistematica incombenza. Superiamo una scuola ormai dominata dalla dimensione del controllo e del giudizio, che ostacola la nascita di una vera motivazione verso la formazione e l’apprendimento. Per stare bene a scuola bisogna uscire dalle metodiche frontali e dell’ascolto passivo e sviluppare il senso di una scuola sociale dove l’apprendimento non è un impegno strettamente individuale”.

“Una scuola dove si fa lavoro di condivisione e dove si sostiene il processo socio affettivo di appartenenza al gruppo classe. Gli insegnanti vanno sostenuti nella capacità di far funzionare la classe e i gruppi di lavoro per fare in modo che gli studenti possano sentirsi bene. Devi lavorare sull’accoglienza e sulla costruzione delle relazioni. I ragazzi amano le sfide, non essere incasellati nel voto. Una sfida scolastica non vuol dire che devi superare un 3, ma magari capire come fare una lettera collettiva al sindaco sull’inquinamento della tua città”.

“La figura dell’insegnante è centrale, ma deve esserlo come figura maieutica, non ex cathedra. Intendo una figura di docente che sa vedere oltre il voto la sostanza e la potenzialità di ciascun alunno. Su questo si gioca una partita enorme, insegnanti di qualità ce ne sono tanti, vanno sostenuti”.

“Io insisto sul fatto che la fragilità di questi ragazzi non è genetica, neurofisiologica. Non condivido un’idea psichiatrica dei nostri ragazzi, che hanno un quoziente intellettivo maggiore delle passate generazioni e fanno una vita più sana. Quello che va fatto è puntare sulla prevenzione educativa aiutando i genitori, questa è la vera emergenza. Torniamo a fare progetti educativi per i genitori, questo aiuterebbe la scuola”.