Non solo i numeri sui salari e numero di ore, la Uil Scuola, su dati Eurydice, ha approfondito anche i giorni per anno scolastico e il computo totale dei docenti a confronto con l’Europa.
Il numero di giorni di scuola varia tra 162 giorni in Francia (tranne nell’istruzione
secondaria superiore) e 200 giorni in Danimarca e in Italia.
In circa metà dei Paesi, è tra 170 e 180 giorni; in 15 paesi, il numero varia da 181 a 190
giorni. In generale, il numero di giorni di scuola è lo stesso nell’istruzione primaria e
secondaria, ma ci sono alcune eccezioni: in Belgio, Francia (istruzione secondaria superiore) e Bosnia, il numero di giorni di scuole è superiore nell’istruzione secondaria rispetto alla primaria.
L’opposto (meno giorni di scuola nell’istruzione secondaria rispetto all’istruzione primaria) è osservato in Irlanda, Grecia, Cipro, Paesi Bassi e Polonia.
Una grande differenza è rappresentata dalla distribuzione dei giorni di vacanza durante
l’anno scolastico: oltre le vacanze estive, presenti in tutti i Paesi e di durata variabile da 6
settimane (Germania) a 14 settimane (Italia), e a diverse durate delle vacanze di
Natale/Capodanno, Primavera/Pasqua, in quasi tutti i Paesi ci sono altre interruzioni
come le vacanze d’autunno, quelle d’inverno/carnevale, le “Third Term holidays”
(generalmente una settimana tra la fine di maggio e l’inizio di giugno), oltre le singole
giornate di festività religiose e civili presenti in tutti i Paesi (rispetto alle nostre 5, che è la
quantità più comune, In Germania sono 10 giornate, in Francia sono 11, Spagna 12).
Nel rapporto studenti – docente l’Italia è perfettamente in linea con la media europea.
Il dato medio europeo, secondo il rapporto OCSE 2016, è di 14 studenti per insegnante.
Nel calcolo dell’edizione 2016 non erano presi in considerazione due aspetti caratterizzanti
del nostro sistema educativo: la presenza degli insegnati di sostegno.
Quella italiana è una esperienza generalizzata sul sostegno ancora unica in Europa.
Una modalità di integrazione che molti Paesi stanno studiando perché ne apprezzano le
finalità di integrazione, di lotta all’esclusione e di ulteriori ricadute sulla società in termini di socializzazione, educazione al rispetto della diversità e di lotta al bullismo nei confronti dei più deboli. Nel rapporto Ocse non erano inclusi nel calcolo gli insegnanti di religione
cattolica, scelta che il nostro Parlamento ha effettuato nel 2003.
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