Estero

Nuova etichetta relativa all’abbigliamento in classe, è polemica in Francia

L’avvio delle lezioni per il corrente anno scolastico non ha dato luogo ai risultati sperati, specie successivamente ad un’estate intensa, calda, dedicata al confronto – talvolta anche violento con riferimento alle manifestazioni che hanno interessato le maggiori città del paese – tra gruppi, entità politiche vista la crisi istituzionale e sociale in cui il sistema versa. La complessa integrazione tra i gruppi etnici che costellano un paese in precario equilibrio sociale visti i recenti scontri con le forze dell’ordini e del dilagare di opinioni e tendenze antigovernative ha prodotto un ambiente scolastico complesso ed esplosivo: immaginiamo ancora l’aggressione ad un docente rimasto ferito nel sud del paese da parte di uno studente che ha prodotto numerose polemiche.

Il divieto introdotto nelle scuole dell’abbigliamento proprio della fede islamica ha provveduto alla creazione di un ambiente assai divisivo: il diritto all’espressione, secondo la secolare cultura islamica espressa attraverso varie associazioni culturali, rischia di venire soffocato nei luoghi pubblici. Il Ministero dell’Istruzione, al contrario, afferma che tale politica restrittiva e l’introduzione di una specifica etichetta circa l’abbigliamento da avere in classe ha il fine di un rispetto secolare delle identità dei singoli: la scuola deve risultare, secondo una nota del Ministero, un ambiente senza vincoli, differenze e privo di riconoscimenti di natura etno-religiosa e culturale derivante dall’estrapolazione sociale degli studenti che la abitano e che vi apprendono.

Il divieto dell’abbigliamento islamico in classe: le iniziative di Attal

Il Ministero dell’Istruzione francese presieduto da Attal, attraverso la pubblicazione di una nota relativa all’etichetta da osservare in aula, intende rimuovere quegli elementi propri dell’appartenenza etnica col fine di creare un ambiente privo di discriminazione e di rischi comparati per studenti e personale docente. Data la molteplicità di studenti afferenti ad un numero elevato di etnie si ha intenzione di ridurre il rischio di isolamento per alcuni di loro eliminando – o limitando l’uso – di elementi visivi che possano denotarne l’appartenenza culturale o religiosa. Sfidando il divieto di indossare abiti musulmani, quasi 300 ragazze si sono presentate a scuola lunedì mattina indossando un’abaya, ha detto Gabriel Attal all’emittente locale BFM. La maggior parte ha accettato di togliersi l’abito, ma 67 hanno rifiutato e sono stati rimandati a casa, ha detto.

Il governo ha annunciato il mese scorso che avrebbe vietato l’abaya nelle scuole, affermando che ciò andava contro le norme sulla laicità nell’istruzione che hanno già visto vietare il velo musulmano in quanto costituisce una dimostrazione di appartenenza religiosa evidente. L’iniziativa ha avuto anche ricadute di natura politica: la mossa ha rallegrato i partiti di destra , ma l’estrema sinistra sostiene che la misura di fatto un affronto alle libertà civili ed alle conquiste democratiche dello stato francese.

L’impacciata ed impropria difesa delle misure in atto

L’esecutivo francese, in una nota, rende solidarietà all’iniziativa visti i fini di secolarizzazione identitaria della stessa, la quale mira a creare un ambiente univoco, di istruzione universale e privo di barriere – evidenti e riconoscibili – di natura etno-religiosa tra gli studenti. A sostegno di tale iniziativa figura un grave caso di cronaca già menzionato: l’assassinio da parte di uno studente della comunità musulmana di un docente che mostra, confini del tutto didattici, le immagini caricaturali del Profeta Maometto site su una gazzetta locale. Nonostante tale fatto, se le ragazze si presentassero di nuovo a scuola indossando gli accessori d’abbigliamento vietati dalla misura in oggetto ci sarebbe occasione per un “nuovo dialogo”, ha detto il Ministro. Il presidente Emmanuel Macron ha difeso la controversa misura, affermando che in Francia esiste una “minoranza” che “si appropria di una religione e sfida la repubblica e il secolarismo”, portando alle “peggiori conseguenze” come l’omicidio menzionato. “Non possiamo agire come se tale attacco, l’omicidio di Samuel Paty, non fosse avvenuto“, ha dichiarato in un’intervista al canale You Tube locale.

Andrea Maggi

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