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Nuove classi di concorso, per insegnarle si pensa all’autoformazione

Organici diversi tra le prime classi che adottano la riforma delle superiori e le ultime che mantengono l’attuale assetto; pubblicazione tardiva, rispetto alla tradizione, dei movimenti dei docenti della scuola secondaria superiore; allargamento degli attuali ambiti disciplinari d’insegnamento per i docenti che si ritroveranno in soprannumero, attraverso un riconversione full immersion o una sorta di autoformazione assistita. Sono queste alcune delle proposte che il Miur porrà ai sindacati quando il 9 dicembre si siederanno attorno al tavolo tecnico sulla mobilità del prossimo anno scolastico: la trattativa si presuppone impegnativa perché peserà in maniera sostanziosa la non facile gestione delle nuove classi di concorso della scuola secondaria superiore.
Rispetto agli ultimi anni, quando il Ccni di mobilità, veniva sostanzialmente replicato, salvo qualche lieve modifica-adattamento, quest’anno il testo subirà quindi importanti variazioni. In questi giorni il Miur dovrebbe aver anche fornito ai sindacati una prima bozza su cui discutere, comprensiva delle osservazioni già fatte nelle scorse settimane dal Cnpi.  
È ovvio che l’esito dipenderà molto da quello della secondaria superiore: se è vero che il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, continua infatti a dare per scontata la sua applicazione, non è altrettanto ancora chiaro quali saranno le materie che maggiormente verranno più sacrificate e, di conseguenza, produrranno un numero maggiore di soprannumerari. Molto dipenderà, in ogni caso, da quanto le due parti (amministrazione e sindacati) riusciranno a venirsi incontro su un punto: l’allargamento delle materie di potenziale insegnamento. È chiaro che viale Trastevere intenda rendere il “ventaglio” il più ampio possibile: in modo da collocare più facilmente il docente rimasto senza cattedra e, nel contempo, riempire preziosi buchi in organico. In caso contrario, mantenendo le attuali classi di concorso, gli Usp, pur con dei docenti di ruolo da dover “piazzare” perché rimasti privi di cattedra, sarebbero costretti a chiamare i supplenti. Un’operazione che visti i tempi di recessione viene considerata una spesa aggiuntiva da evitare.
Ma moltiplicare le abilitazioni ora in possesso dei nostri docenti potrebbe alla lunga rappresentare una mossa poco lungimirante: non basta, infatti, aver svolto un esame all’università per essere in grado di conoscere ed insegnare una determinata materia. Soprattutto perché per decenni ai docenti è stata sbarrata la strada ad insegnamenti similari solo per non aver svolto dei rigidi e inderogabili piani di studi all’Università.
Ora però la strada dell’autoformazione rappresenterebbe un toccasana per le casse dello Stato. Ma anche, aggiungiamo noi, un mandare allo sbaraglio dei docenti senza accertarsi se siano in grado effettivamente di farlo. Anche perché laddove la risposta fosse negativa, qualora l’insegnante non si dimostri all’altezza della situazione, le vere vittime sarebbero ancora una volta gli utenti primi della scuola: gli studenti.
Alessandro Giuliani

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