È finito il tempo in cui si andava in pensione con 40 anni di contributi, o giù di lì, portavano a casa un assegno di quiescenza pari o superiore all’ultimo stipendio. Oggi il sistema previdenziale obbligatorio “garantisce a un ex dipendente con carriera continuativa, 38 anni di contributi versati e uscita dal lavoro nel 2010 a 65 anni, una pensione pari all’84,3% dell’ultima retribuzione”.
Ma non è il caso di lamentarsi. Perché, a causa delle riforme previdenziali approvate a danno dei lavoratori, a un giovane che ha iniziato a lavorare nel 2012, a 29 anni di età, per il quale si prefigura una carriera continuativa come dipendente, andando anch’egli in pensione con 38 anni di contribuzione e uscita dal lavoro nel 2050, a 67 anni, nella migliore delle ipotesi “il rapporto fra pensione futura e ultima retribuzione si dovrebbe fermare al 69,7%, quasi quindici punti percentuali in meno”.
A segnalare il gap, pari al 14,6%, è stato il focus Censis-Confcooperative “Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?“, presentato il 12 marzo, secondo cui sulle pensioni di oggi e su quelle di domani è in atto una discriminazione tra generazioni.
Ma nel futuro, scrive l’agenzia Ansa, il rischio è che vada molto peggio a 5,7 milioni di persone, ossia “i 3 milioni di Neet fra i 18 e i 35 anni che hanno rinunciato a ogni tipo di prospettiva a causa della mancanza di lavoro e i 2,7 milioni di lavoratori, tra ‘working poor’ e occupati impegnati in ‘lavori gabbia’ confinati in attività non qualificate dalle quali, una volta entrati, è difficile uscirne”.
A determinare questa situazione, continua lo studio, è stato il ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, la discontinuità contributiva e la debole dinamica retributiva di molte attività lavorative rappresentano un pericoloso mix per il futuro previdenziale e la tenuta sociale del paese.
“Queste condizioni hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata. Lavoro e povertà sono due emergenze sulle quali chiediamo al futuro governo di impegnarsi con determinazione per un patto intergenerazionale che garantisca ai figli le stesse opportunità dei padri”, ha detto Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative.
Poi, Gardini si è soffermato sul fatto che il Rei (reddito d’inclusione) “con un primo stanziamento di 2,1 miliardi che arriverà a 2,7 miliardi nel 2020 fornirà delle prime risposte, ma dobbiamo recuperare 3 milioni di Neet e offrire condizioni di lavoro dignitoso ai 2,7 milioni di lavoratori poveri. Rischiamo di perdere un’intera generazione”.
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