Chi concorre nella Pubblica amministrazione per fare il dirigente dovrà presto fare i conti con delle nuove valutazioni dei titoli: la novità è contenuta in un decreto del presidente del Consiglio, proposto dalla ministra della P.A, che attua la regola, già vigente, del 40% come tetto per la valutazione dei titoli sul voto finale.
La novità principale, quindi, è quella di riconoscere in modo adeguato – dandogli maggiore considerazione – a titoli universitari e alle carriere, ma anche alle abilitazioni professionali e alle pubblicazioni scientifiche.
L’obiettivo sta nel “garantire il giusto equilibrio tra la necessità di valorizzare i titoli di studio, quale, ad esempio, il dottorato di ricerca”, in linea con la riforma Madia, “al fine di consentire l’accesso alla dirigenza di giovani meritevoli, e l’opportunità di non penalizzare i funzionari delle pubbliche amministrazioni, che hanno già acquisito esperienza sul campo e si sono anche distinti”, si legge nella relazione illustrativa alla bozza del decreto.
Nel dettaglio, ai titoli si possono attribuire fino 120 punti su 300 e fino a 160 su 400 se c’è una terza prova scritta. Ci sarebbe già il parere positivo del Consiglio di Stato, fanno sapere dal ministero.
Nello specifico, ai titoli di studio universitari, ulteriori rispetto a quelli utilizzati per l’ammissione, come seconde lauree, master, specializzazioni e dottorati di ricerca, potrà essere dato un punteggio massimo di 41. Anche la prima laurea, oltre all’accesso alla selezione, può fruttare qualche altra cosa: tutto dipende dal voto (deve essere superiore a 105).
Inoltre, sono presi in considerazione i titoli che ricadano nelle materie del concorso. In ballo ci sono altri 9 punti per chi ha tenuto corsi di studio accademici o figura come titolare di insegnamenti.
Le abilitazioni professionali possono coprire massimo 12 punti ma a certe condizioni: il superamento di un esame di stato e l’attinenza alle prove d’esame. I titoli di carriera e di servizio possono, invece, valere fino a 50 punti. Tra questi sono annoverati i rapporti di lavoro anche a tempo determinato, i pregressi incarichi dirigenziali, rapportati alla loro durata e sempre nell’ambito della P.A.
Nel curriculum relativo alla carriera possono poi fare la differenza i lavori originali, produzioni che provino una particolare competenza professionale, e l’idoneità a concorsi pubblici passati (la presenza in graduatoria). Infine, possono dare non più di 8 punti le pubblicazioni scientifiche, purché abbiano a che fare con il ruolo che si andrà a svolgere come dirigente.
Quanto previsto dal decreto vale per tutti i concorsi indetti dalle amministrazioni pubbliche, relativi alla seconda fascia. Ma non riguarda i corsi-concorsi della Scuola nazionale dell’amministrazione, che rappresentano il secondo canale di accesso alla dirigenza.
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