La scuola ha bisogno di nuovi insegnanti, non solo di sostegno. E anche tanti. Dopo l’Ocse, che ha calcolato quasi mezzo milione di docenti destinati alla pensione nel prossimo decennio, la conferma arriva dalla ministra dell’Università e della Ricerca Cristina Messa. Durante un’ampia intervista alla Tecnica della Scuola, l’ex rettrice della Bicocca di Milano ha detto che c’è esigenza di formare ed assumere tanti insegnanti, a partire dagli specializzati in didattica per alunni disabili: mancano all’appello, infatti, oltre 100 mila insegnanti di ruolo di sostegno.
“Purtroppo – ha spiegato Messa ai nostri microfoni – la necessità non riguarda solo gli specializzati, ma tutto il corpo degli insegnanti. Perché se è vero che avremo meno bambini in futuro (si stima circa un milione in meno, sempre nel prossimo decennio n.d.r.), è altrettanto vero che il fabbisogno di docenti richiesto nelle scuole è piuttosto alto rispetto alle disponibilità di ruolo”.
Messa ha aggiunto che “il ministro Patrizio Bianchi, con il sottosegretario Roberto Garofoli, stanno studiando una modalità di corsi-concorsi utili a migliorare la situazione”.
Il riferimento è al Decreto Legge Sostegni Bis, una cui prima bozza è stata approvata dal CdM solo pochi giorni fa.
La responsabile del dicastero di Viale Trastevere ha spiegato che “per le scuole medie, superiori o inferiori, dobbiamo anche definire quali sono le competenze che ci permettono di accedere al corso” di formazione: “nella primaria esiste il corso ad hoc, anche prima nello zero-sei anni ci sono gli educatori. Mentre da 11 anni in poi, qualsiasi laureato potrebbe insegnare: dobbiamo quindi definire il percorso di chi prende una laurea e vuole insegnare”.
Per le abilitazioni e specializzazioni si prevedono delle novità? La ministra ha detto che “delle novità ci sono sempre state: come il Fis, i 24 crediti formativi, i tirocini. Ora stiamo cercando di mettere ordine, realizzando una organizzazione unica per chi vuole andare ad insegnare: quella che si deve acquisire per andare a svolgere l’attività pratica” in aula.
Sul V ciclo Tfa sostegno, ha spiegato che “le tappe sono in via di definizione, però le Università hanno messo a regime un numero di insegnamenti e corsi per 20 mila persone. Dobbiamo partire con la vera e propria formazione”.
Messa ha quindi annunciato le tre priorità che si è imposta quando è arrivata al ministero.
“Agevolazioni ai giovani, perché entrino in questo mondo della ricerca e formazione, visto che abbiamo ricercatori in media sopra i 50 anni. Unire finanziamenti alle riforme, perché bisogna snellirle. Il terzo punto è di carattere politico di un comparto che ha bisogno di maggiore crescita ed autonomia”.
Dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per l’Università e la Ricerca arriveranno circa 15 miliardi.
“In parte – ha dichiarato – saranno per formazione, in parte per la ricerca. Per la prima, si vuole aumentare l’accesso all’Università e il numero di laureati: bisognerà agire su più aspetti, come le borse allo studio, la mobilità, le residenze. Pure sull’aspetto del walfare e le competenze degli studenti, che garantiscono un futuro per i giovani”.
“Anche per la Ricerca c’è la formazione: va investito molto di più nei dottorati di ricerca e nella progettualità”.
Le immatricolazioni dell’ultimo decennio sono state caratterizzate da un trend negativo: c’è chi dice che su questo andamento ha pesato l’aumento sensibile delle tasse, in alcuni casi addirittura raddoppiate. “Se il dato complessivo ha portato una riduzione, quello locale – ha sottolineato Messa – non ha portato riduzione, come in Lombardia, nonostante le tasse. Bisogna comunque investire in questo senso, sia per la riduzione delle tasse per chi è al di sotto di un certo Isee ed anche con un incremento delle borse di studio”.
Nell’ultimo anno c’è stato però un aumento delle immatricolazioni del 7%: a cosa l’associate? “È una combinazione di più elementi – ritiene la ministra -: agevolazioni economiche, ma soprattutto per effetto del Covid. Tutti sono rimasti più residenziali, in più le università si sono sbizzarrite nell’offerta formativa”.
La titolare del dicastero di Università e Ricerca ha quindi detto che “l’orientamento degli studenti delle superiori verso Università” deve essere meglio coordinato. “È stato previsto nel Recovery plan: le università devono essere parte attiva già dal terzo anno delle superiori, anziché dal quarto“. Inoltre, occorre una maggiore “formazione degli insegnanti”.
Sui due corsi universitari svolti contemporaneamente, sul quale il Parlamento sta approvando la legge, “sembra che vi sia l’accordo di tutte le forze politiche. Io sono d’accordo, ma bisognerà dare degli indirizzi”, avverte Messa.
Con il Covid la DaD è entrata anche nelle Università. Però se ne è parlato molto meno rispetto alla scuola.
“Rispetto alla scuola, il numero è inferiore ed i ragazzi sono un po’ più grandi di quelli delle superiori – ha detto la ministra -. Come pure lo strumento informatico: è più facile che lo studente universitario lo abbia”.
“Ciò non toglie che gli studenti, mi dicono miei colleghi, che i giovani sono i primi a chiedere di tornare in presenza: la vita universitaria, vissuta nei Campus, è di per sé formazione, oltre a quella che si riceve sui banchi delle aule universitarie. L’esigenza di socialità c’è anche dopo i 20 anni”.
Le Università continueranno a praticare la didattica a distanza anche dopo il Covid? Per la ministra, “ la DaD rimarrà come uno strumento che andrà ad implementare una serie di funzioni: studenti lavoratori, fuori sede, per realizzare lezioni mnemoniche, scambiare corsi con altre università, sia italiane che straniere”.
Parliamo di Erasmus, che dal 1987 ha fatto viaggiare più di mezzo milione di studenti: quali sono le prospettive del programma europeo Erasmus+? “Sono quelle di allargarlo al di fuori dell’Europa. C’è già un Erasmus Mundus, da mettere in rilievo. Anche se va messo in risalto il progetto del cittadino europeo. I ragazzi sono pronti a muoversi. Quando ripartirà l’Erasmus? Riprendiamo con le lezioni in presenza, poi l’Erasmus”.
Da medico, cosa si sente di dire agli italiani ancora intimoriti dai vaccini anti-Covid? Per convincerli a vaccinarsi, ha spiegato, “basterebbe soffermarsi sul timore di contrarre la malattia e di infettare gli altri”.
E sull’obbligatorietà della vaccinazione per medici ed infermieri dice semplicemente che “è dovuta”.
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