La scuola italiana sta cambiando, anche con la riforma degli istituti tecnici e professionali: una riforma che il ministro Giuseppe Valditara, vorrebbe introdurre già a settembre. La Tecnica della Scuola ne ha parlato con Gianna Fracassi, segretaria generale Flc-Cgl. “Noi riteniamo – ha detto la sindacalista nella video-intervista – che questa sia una pessima riforma, perché si basa su un’impostazione vecchiotta. Sembra una riedizione di qualcosa di circa vent’anni fa: un’idea di canalizzazione precoce che non serve a nessuno, se non a chi l’ha pensata”. Il sindacato si oppone al progetto per più motivi: la riduzione di un anno è un rischio, si va verso una governance ibrida della scuola, una parte degli insegnamenti saranno affidati ad esterni, mostrando sfiducia verso i nostri docenti. Fracassi ritiene che stia passando il messaggio che “solo nell’ambito dell’impresa vi siano le condizioni per garantire insegnamenti efficaci a chi poi dovrà uscire dal sistema scolastico”. Anche il Pcto non piace: toglie scuola e competenze di base, appiattisce tutto.
Fracassi, da tempo il suo sindacato ha espresso netta contrarietà alla riforma di due dei tre macro corsi superiori in Italia. Perché?
Noi riteniamo che la riforma degli istituti tecnici e professionali, almeno così come progettata dal Governo, sia una pessima riforma, anche perché si basa su un’impostazione piuttosto vecchiotta. Mi sembra una riedizione di qualcosa che ho conosciuto circa vent’anni fa, cioè con un’idea di canalizzazione precoce che non serve a nessuno, almeno se non a quelli che l’hanno pensata. Francamente, quindi, c’è un rischio molto forte.
Forse perché tra i punti centrali della riforma c’è anche la riduzione di un anno rispetto all’attuale corso quinquennale, pure se per via sperimentale?
Esatto. La riduzione di un anno è un rischio, ma ci sono altri due aspetti che ci preoccupano molto. Il primo è sostanzialmente una governance ibrida della scuola, con l’inserimento nel cosiddetto Campus di soggetti esterni che vanno a definire quelli che sono una parte dei curricoli, perché questo va detto, si va verso una grande flessibilità. La seconda questione è che c’è la possibilità, anzi c’è la certezza, che una parte degli insegnamenti siano affidati ad esterni: io trovo questo un atto di sfiducia nei confronti dei docenti italiani degli istituti tecnici e professionali; è un’idea ancora subordinata al fatto che una parte di questo Paese ritiene che solo nell’ambito dell’impresa, neanche del lavoro, ci siano le condizioni per garantire insegnamenti efficaci a chi poi dovrà uscire dal sistema scolastico.
Quindi cosa farete?
Premesso che secondo noi questa è una pessima riforma che la contrasteremo, intanto, va data l’informazione, perché è abbastanza poco nota alle persone: noi non vorremmo che da questo primo passaggio poi si arrivasse a un altro passaggio, cioè un’idea molto canalizzata, molto ridotta, del sistema d’istruzione secondaria, con una riduzione anche dei licei si tratta di una spinta diciamo per il grosso dei ragazzi delle ragazze verso il sistema d’istruzione tecnica e professionale. Lo dico perché c’è un’idea classista che sta alla base di queste scelte, cioè l’idea che chi frequenta tecnici e professionali ha uno sbocco diciamo predeterminato; mentre, invece, per una parte del liceo lo sbocco è diverso. Prova ne è, di quello che sto dicendo, l’intervento sul liceo Economico e sociale, che vorrebbero trasformare in Made in Italy, di cui non si capisce francamente il senso.
Quindi siete anche contro il Pcto, presente in maniera sempre più viva e a volte invadente rispetto alla didattica?
È proprio questo a cui mi riferivo quando parlavo di subordinazione anche culturale: c’è proprio l’idea di una mistificazione del ruolo della didattica, perché le esperienze di scuola-lavoro, ora di Pcto, devono stare all’interno del curricolo, devono essere progettate, ma sono altra cosa rispetto all’appiattimento che mi sembra di comprendere anche dalle riforme a cui facevo cenno un appiattimento e una sovrapponibilità delle attività didattiche. Cito testualmente dal decreto dei tecnici che è attualmente in discussione, ‘esperienza e alleanza scuola-impresa”. Quindi stage tirocini sono considerati uguali, la stessa cosa, rispetto al percorso scolastico. Ecco, questo è proprio sbagliato, perché qui c’è un’idea anche della missione della scuola che ho sbagliata. Potrei anche continuare dicendo che forse se ci fermassimo mai un attimo e riflettessimo su cosa serve veramente a questo Paese, su cosa serve in termini di mercato del lavoro e di rafforzamento delle conoscenze e delle competenze rispetto a un mondo che si sta trasformando perché ci sono grandi transizioni in campo. Tutti si stanno interrogando su questo.
Cosa proponete?
Il punto non è quello di dare meno a scuola o di fare meno scuola, ma di dare più competenze e più conoscenze, quindi più scuola. Perché oggi il mercato del lavoro non è quello di 20 o 30 anni fa: io non apprendo di fare una cosa e la farò per tutta la vita, io devo avere, e questa è la missione della scuola, le conoscenze e le competenze necessarie per orientarmi. E questo prima di tutto come cittadino, ma poi anche come lavoratore. Quindi è proprio l’inverso di quello che si sta facendo.
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