Zoom, Microsoft Teams, Google Classroom, piattaforme e-learning. La maggior parte della popolazione prima della promulga del primo e fatidico DPCM che estendeva la zona rossa del contagio da COVID-19 da Codogno a tutto lo stivale non era a conoscenza di tali strumenti che di fatto non solo agevolano l’organizzazione delle attività didattiche lato docente, ma garantiscono un’esperienza di apprendimento immersiva se ben utilizzate e predisposte. L’aggiornamento delle stesse, per vie dell’utilizzo massivo durante il 2020 e i down che caratterizzarono intere giornate infrasettimanali con i sistemi non accessibili, ha seguito le esigenze dell’utenza che, come riportato anche dai report internazionali circa la didattica – per ragazzi ed adulti – erogata a distanza, lamentava delle esperienze poco interattive e scarsamente immersive. I principali pedagoghi durante tale periodo ribadivano che le facoltà mentali umane – specie in giovane età – fossero di natura immersiva e sostenevano che tali piattaforme non potessero essere un degno supporto domestico a sostituzione dell’apprendimento in presenza. Questa opinione fu presto ribaltata con la miglioria dei tools per l’apprendimento libero. Vennero aggiunte nuove funzioni: test a risposta multipla e aperta, materiali ed elementi che agevolano la navigazione in vere e proprie classi virtuali.
Tutti hanno utilizzato Microsoft Teams, specie gli studenti universitari e chi è impiegato in grandi imprese. Zoom resta il preferito per le classi delle scuole di I e II grado, data la facilità di utilizzo e molteplici funzionalità in termini di esecuzione di test durante l’esecuzione delle sessioni e lezioni, le cui esperienze risultano inoltre divisibili per gruppi in seno al medesimo meeting. Google Classroom e Meet, alla pari, permettono agli utenti di scambiarsi messaggi in tempo reale con il fine di organizzare le attività e garantiscono uno scambio diretto di materiali didattici da completare e da verificare lato docente. Le versioni mobili – per tablet, iOS e Android – sino alla fine del 2020 risultavano limitanti lato docente e studente: la navigazione era complessa, i blocchi frequenti e le riunioni spesso bloccate e non accessibili. Le migliorie apportate e il lancio di School Connection da parte di Microsoft – già ampiamente diffuso in Belgio, Spagna, Regno Unito e Francia – hanno permesso di rendere l’apprendimento più diretto per l’utenza. La DAD intesa come esperienza, nonostante possa comunque restare una sostituzione a malapena sufficiente dell’esperienza diretta in classe, può essere migliorata con un utilizzo di tools sempre aggiornati.
Il PNRR, inteso come sistema di finanziamenti diretti ai settori strategici quali sanità e scuola, ha al centro la digitalizzazione delle infrastrutture del paese partendo dai luoghi della formazione. La posa di cavi per la fibra ottica – assenti in numerosi istituti scolastici – è un primo passo per una lenta digitalizzazione che pare avanzi più a livello privato che pubblico. Le 200 classi interattive e tecnologicamente avanzate promesse dal Dicastero di Viale Trastevere a guida Patrizio Bianchi non sono ancora operative, gettando nell’incertezza la comunità scolastica che vede nelle migliorie tecnologiche un elemento – seppur basilare – di cambiamento e rivoluzione. Basta dare uno sguardo in Europa per comprendere come i sistemi scolastici siano in continuo aggiornamento: in Germania, Belgio ed Estonia si apprendono le discipline informatiche sin dalla più tenera età, si integrano poi tali conoscenze con le discipline di base – siano queste umanistiche o tecnico-scientifiche – per far sì che la concezione digitale della realtà appresa non fosse reclusa all’interno delle aule di informatica (Svezia e Regno Unito sono un esempio). I paesi nordici sono i più digitalizzati: lo sforzo pubblico circa lo snellimento delle pratiche amministrative e l’eliminazione del cartaceo si deve alle singole amministrazioni che virtuosamente hanno elaborato tali piani (Norvegia, Danimarca e Finlandia).
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