Parte un altro anno scolastico con l’incognita della dispersione degli alunni ancora troppo alta: l’Unione Europea ha collocato da tempo la percentuale massima di abbandoni dei banchi al 10%, ma in Italia non si riesce ad andare sotto il 15%, con punte, al Sud, che superano il 40%.
La situazione che rimane da allarme rosso è quella delle scuole superiori di determinate aree del Paese, in particolare del biennio iniziale.
Lo conferma uno studio di Tuttoscuola, dal titolo esplicativo “La scuola colabrodo”, pubblicato in anteprima dall’Espresso del 9 settembre, dal quale si evince che dei 590 mila ragazzi che stanno iniziando la scuola secondaria di secondo grado, uno su quattro (quasi 150 mila) non arriverà al diploma.
Sul lungo periodo, il danno è enorme: dal 1995 ad oggi, in Italia tre milioni e mezzo di studenti non hanno acquisito la maturità. Con il 30,6 per cento degli iscritti è scomparso prima di raggiungere il traguardo.
Certo, ricorda la rivista, dal 2018 hanno lasciato i banchi anzitempo ben 151mila ragazzi, il 24,7 per cento del totale, contro il 36,7 del duemila. Il miglioramento, tuttavia, è lontano dalla soluzione al problema: “l’incuria intorno e lo sconforto interno che portano gli adolescenti a far cadere i libri prima di averli compresi – fanno sapere gli esperti – sono gli stessi spettri che rischiano poi di trattenerli a lungo in quella macchia che è la conta dei Neet, dei giovani che non studiano né lavorano: il vuoto lattiginoso dentro cui è chiuso un ventenne su tre al Sud”.
Tuttoscuola ha anche calcolato il danno economico di questo spreco generazionale: partendo dalla stima Ocse, per cui lo Stato investe poco meno di settemila euro l’anno a studente per l’istruzione secondaria, il costo degli abbandoni ammonta a cinque miliardi e 520 milioni solo considerando i cicli scolastici 2009-2014 e 2014-2018.
Se invece si torna indietro al 1995, il costo della dispersione diventa altissimo: 55,4 miliardi di euro. Quindi, pari a più di una Legge di Bilancio.
È la misura di un fallimento sociale, oltre che economico, enorme, scrive l’Espresso. E che ne racchiude altri, perché come ricorda il rapporto, più istruzione significa anche più lavoro, più salute, più democrazia. Mentre lasciar seccare l’insegnamento, e la sua copertura, significa togliere strumenti e possibilità agli attuali e prossimi cittadini, quindi all’Italia come Paese.
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