È inutile negarlo: quello che si sta aprendo è un anno scolastico che porta con sé troppe incognite. Ancora più di quelle passate. La Tecnica della Scuola, al 23esimo anno di attività on line e al 73esimo dalla sua nascita, lo seguirà con l’attenzione che ha sempre contraddistinto la casa editrice: puntuale illustrazione dei fatti e processo di analisi, quello che serve ai lettori per comprendere ed interpretare. A farsi un’idea compiuta.
Sull’inizio di questo particolare nuovo anno scolastico, indubbiamente sono diversi i punti d’ombra. Certo, a complicare tutto c’è la spada di Damocle del Covid-19: perché tantissimo dipenderà dalla curva che prenderà il virus.
Se nelle scuole i contagi dovessero scemare, anche considerando l’alto numero di lavoratori vaccinati e quello crescente degli studenti dalla seconda media in su, si potrebbe pensare ad un progressivo ritorno alla normalità.
Certo, con i problemi di sempre (supplenti in quantità industriale, strutture scolastiche inadeguate, mezzi tecnologici non sempre all’altezza e via dicendo), ma si tratterebbe comunque pur sempre della nostra cara vecchia scuola.
Quella che tanto bene ha fatto per decenni, con alunni ben preparati e formati, con solide basi e inseriti nella società ai massimi livelli.
Certo, le prove Invalsi degli ultimi tempi ci dicono che gli apprendimenti sono in calo, soprattutto in certi territori (Sud in testa): con i fondi del Pnrr e una buona capacità di riorganizzazione, però, la riduzione del gap appare possibile.
Se però nel corso dell’anno i casi di Covid-19 dovessero tornare a salire, pure nelle aule, allora il quadro cambierebbe. E di molto. Perché tornerebbero a galla i rimpianti per quello che in un anno e mezzo tutti chiedevano di fare e non è stato fatto.
Si materializzerebbe di nuovo infatti la didattica a distanza. E si direbbe che l’insistenza sul Green pass obbligatorio (con i controlli di docenti e Ata che partiranno in modo manuale per poi essere affidati ad un’applicazione digitale), con tanto di multe salate, sospensioni dal servizio e feroci proteste dei no-vax, non è servita a molto.
Si tornerebbe a puntare il dito su un reclutamento che è diventato da tempo il tallone d’Achille del ministero dell’Istruzione: ancora di più nel 2021, che pure in piena emergenza Covid-19 non ha immesso in ruolo i precari che si sono invecchiati da supplenti, puntando tutto sui concorsi che, come sempre, si sono rivelati decisamente macchinosi. Senza dimenticare la decisione di ridurre pesantemente l’organico Covid e l’ennesimo mancato completamento delle immissioni in ruolo accordate dal Mef (siamo sopra le 50 mila a fronte di oltre 112 mila).
Ma soprattutto, si andrebbe ad accusare chi, Governo in testa, non ha voluto saperne di ridurre le quantità davvero esagerata di alunni per classe: la riduzione del numero di persone presenti in una stanza, ci dicono i virologi, costituisce un requisito essenziale per non esporsi al Covid-19. Invece, noi ci permettiamo il lusso di tornare a scuola con migliaia di classi con oltre di 26-27 iscritti, collocate in aule tutt’altro che capienti e areate quasi dappertutto con il metodo dei nostri nonni: quello di tenere aperte le finestre (anche d’inverno, con tutti i rischi che comporta).
Giusto ieri abbiamo ricevuto la denuncia di un liceo alle porte di Roma, dove l’Ufficio scolastico non ha battuto ciglio nel realizzare una classe con 31 studenti, di cui tre disabili certificati. Ecco, Covid a parte, pensiamo che su questo fronte è arrivata l’ora di prendere in mano la situazione. Perché formare due classi da 15 o da 16 alunni è molto più normale che farne una da 31. Se poi tra gli alunni vi sono ragazzi con bisogni speciali, anche la legge lo impone. Invece, quello che è illogico continua a prevalere, così da evitare di uscire dai budget prefissati.
Se poi pensiamo che i 31 giovani presto si ritroveranno seduti in aula gomito a gomito (perché nel frattempo il Cts ha fatto cadere pure il metro minimo di distanziamento), allora la questione diventa particolarmente grave.
Perché significa che nemmeno la pandemia è riuscita a scalfire i parametri numerici da Paese non certo moderno introdotti (e mai cancellati) con la riforma Gelmini dell’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi.
Nel frattempo, sono passati quasi tre lustri e otto ministri dell’Istruzione. E si continuano a formare classi da 31 alunni.
Ad una manciata di ore dal nuovo anno, il ministro Patrizio Bianchi ha “incontrato” gli oltre 7 mila dirigenti scolastici che guideranno le 8.200 scuole autonome: ha spiegato, anche attraverso i suoi capi dipartimento, quali sono le modalità di gestione degli istituti, ma soprattutto ha detto loro che il Governo, con il premier Mario Draghi in testa, è con loro.
Il sostegno morale, insomma, sembra esserci. Su quello materiale ci riserviamo di dare giudizi: tutto dipenderà da come le scuole reagiranno all’urto della scuola in presenza in condizioni ancora oggettivamente difficili.
Con la speranza che si intervenga al più presto, anche in Parlamento, per cancellare i problemi del momento, ma anche quelli atavici, che attanagliano il nostro sistema formativo, La Tecnica della Scuola augura ai suoi lettori un anno scolastico sereno e ricco di soddisfazioni.
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