I Sindacati invitati ai tavoli e l’ARAN stanno chiudendo la trattativa per elargire docenti e altri lavoratori della Scuola “aumenti” di circa 100 euro medi lordi (poche decine di euro netti per quasi tutti), più gli arretrati del CCNL 2019-21. Finalmente sembrerà al personale scolastico — tenuto a stecchetto per anni (a contratto scaduto dal 2018) — di esser riempito d’oro. Solo i più informati capiranno d’aver fatto un altro passo verso l’impoverimento cui, per scelte politiche precise, da 40 anni il mondo della Scuola è avviato: cosa che contribuisce a demolire nell’immaginario collettivo l’autorevolezza e la rilevanza sociale dei docenti. Chi insegna dev’esser rispettato: a costruire questo rispetto contribuisce anche un equivalente riconoscimento economico, in una società dove tutto, ma proprio tutto, si misura tramite la valorizzazione in denaro.
In ogni democrazia che si rispetti «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» (art. 33 Cost.). Per esser libero, però, chi insegna dev’essere anche rispettato, ben pagato, e pertanto autorevole. Uno Stato democratico, che non fosse fedele a questo principio, contraddirebbe se stesso nei fatti, anche se lo difendesse a parole.
Mezzo secolo fa prevaleva, a sinistra, la concezione dell’insegnante come militante politico “di massa” diretto dal “partito”: il che non è esattamente in accordo con la necessaria autonomia professionale e con la libertà di coscienza.
Ora invece stiamo assistendo a un processo di aziendalizzazione, impiegatizzazione e immiserimento dei docenti, iniziato da un governo di “centrosinistra” (con il D.Lgs. 29/1993) e costruito in trent’anni da esecutivi di sinistra, di centro, di destra e tecnici. Sarà un caso? Per tutti costoro il docente deve essere eterodiretto: stella polare il mondo dell’impresa (con lo Stato suo garante). Non c’è stata forse una (tuttora presente) precisa volontà di imbrigliare e sottomettere la categoria docente? Volontà trasversale a tutte le principali forze politiche, al netto delle dichiarazioni di ammirazione e gratitudine per gli “eroici” insegnanti, ampiamente profuse dalle bocche dei politici di tutti i partiti!
I risultati, dopo 40 anni esatti di tagli, li riscontrano i docenti quando guardano una vetrina (scoprendo quanti beni non possono permettersi di acquistare). Non sono i soli, naturalmente. I Vigili del Fuoco, tra le forze di pronto intervento, sono — dirigenti parte — tra i meno pagati (circa 31.000 euro lordi annui massimi, comprese le indennità). I corpi di polizia ricevono 38.000 euro, le forze armate 35.000 (secondo il Nuovo Giornale dei Militari).
Il paragone, però, va fatto non con altre categorie maltrattate, ma con altri professionisti laureati, e ancor più con gli altri professionisti della funzione docente: ossia con i docenti universitari. I quali, a fronte di sei ore settimanali di lezione in cattedra, guadagnano a fine carriera tra i 67.000 e gli 80.000 euro lordi annui. I docenti universitari, infatti, esclusi dall’area di vigenza del D.Lgs. 29/1993, non furono impiegatizzati: sono pubblici dipendenti, non “pubblici impiegati” (sorte toccata invece ai “figliastri”, i docenti delle scuole).
Ma anche tra i docenti delle scuole c’è il fanalino di coda: i docenti precari, pagati sempre con lo stipendio base finché non diventano “a tempo indeterminato” (in un Paese in cui il precariato dura in media dodici anni, e in cui moltissimi docenti lavorano anche a 60 km da casa o più). Di tutti gli anni di precariato, ai fini della ricostruzione di carriera, i docenti possono far valere interamente solo i primi quattro.
“Casualmente”, inoltre, i precari molto spesso da gennaio in poi non ricevono gli stipendi perché «non arrivano i soldi» (e perché, in una categoria che non sciopera, i precari scioperano ancor meno): per mesi son costretti a campare coi propri risparmi in attesa degli “arretrati” (non indicizzati e senza interessi di mora, ovviamente). Il settimo Stato più ricco del pianeta è povero, quando deve garantire i diritti dei cittadini, specie se docenti. Anche perché ogni anno — sempre “casualmente” — l’amministrazione “dimentica” quante supplenze sono state necessarie negli anni precedenti, e stanzia meno soldi del dovuto. Da decenni.
Neoliberismo e deregulation imperano, e vogliono le loro vittime. Sei docente? Quindi «non produci». I “lacci e laccioli”, che 30 anni fa proteggevano il lavoro precario e le prerogative (nonché la dignità) dei docenti, sono roba vecchia: finalmente lo Stato se n’è liberato! Lo stesso Stato che paga gli impiegati delle “Autority” indipendenti (come AGCom e Antitrust) 74.000 euro medi annui; che elargisce al personale non dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri 49.000 euro; che ogni anno gratifica con 220.000 euro i dirigenti delle agenzie fiscali, con 217.000 quelli di INPS ed INAIL, con 178.000 quelli dei vari ministeri.
«Con la cultura non si mangia» disse qualcuno. L’Autore presunto del filosofico aforisma smentì di averlo detto, e lo corresse in «Con la cultura troppi mangiano». Il cui senso rischia di essere: chi vive di cultura non deve mangiare. «Quando sento la parola cultura metto mano alla pistola», si diceva avesse detto un certo Goebbels.
Quasi fosse fedele a questi sani principi, lo Stato italiano da 30 anni nicchia sui diritti degli insegnanti, sensibilissimo invece alle richieste di un mondo industriale che investe poco in ricerca, cerca poco il bene collettivo e molto s’impegna per una scuola asservita ai suoi interessi, assistito in questo da schiere di intellettuali pronti a giurare che la Scuola è antiquata e che bisogna svecchiarla a colpi di anglobalizzante pseudo-pedagogia telematica. Auguri, Italia!
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