Pesa tanto il ritorno alla DaD per oltre due milioni e mezzo di studenti delle superiori, oltre che per gli alunni di seconda e terza media delle zone più rischio. La decisione presa con il nuovo Dpcm, in vigore dal 6 novembre, non è stata facile da digerire, nemmeno da parte del Governo. Nella conferenza stampa di illustrazione del decreto, lo ammette pure il premier Giuseppe Conte.
Per il presidente del Consiglio, come già scritto, “mandare in Dad degli studenti è un fatto che pesa molto. E appena la curva rientrerà sotto controllo una delle prime misure sarà restituire la didattica in presenza quanti più alunni possibili“.
Conte ha anche difeso la scelta del Governo di non adottare un unico provvedimento in tutto il Paese, come chiedevano invece alcuni governatori: “se lo avessimo fatto avremmo ottenuto un duplice effetto negativo, non saremo intervenuti con misure veramente efficaci dove c’è un maggior rischio e avremo imposto misure irragionevolmente restrittive dove la situazione è meno grave”.
Il premier, quindi, ha spiegato che bisogna “necessariamente intervenire per rallentare la circolazione del virus”, poiché i sistemi sanitari di “molte regioni rischiano di andare in sofferenza” nelle prossime settimane. Dunque le scelte sono obbligate: “non abbiamo alternative, dobbiamo affrontare queste restrizioni per raffreddare la curva”.
La “stretta” stavolta è seria. In base al grado di diffusione del Covid, ricordiamo che Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta sono nella zona rossa, mentre Puglia e Sicilia sono state messe nella zona arancione, il resto d’Italia in zona gialla.
Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha già firmato le ordinanze con i dati dell’ultimo monitoraggio e le misure resteranno in vigore, almeno per quanto riguarda le zone rosse, per “almeno due settimane”.
I dati relativi alle Regioni inserite nelle zone gialla e arancione saranno invece aggiornati ogni settimana e, in caso di peggioramento, ci sarà il passaggio automatico nella fascia più alta e l’applicazione di misure più ancora più rigide e limitanti per i cittadini.
Intanto, però, il premier e il CdM si devono sorbire i rimproveri delle regioni. Con tanto di decisioni opposte prese da alcuni governatori, come Vincenzo De Luca (Campania) e Michele Emiliano (Puglia), che a breve confermeranno la chiusura delle scuole primarie e medie.
C’è pure chi – come il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, commentando l’inserimento dell’Isola nella “zona arancione” – chiede al Governo la collocazione tra i territori meno a rischio di contagiosità.
“La scelta del governo nazionale di relegare la Sicilia a ‘zona arancione’ appare assurda e irragionevole. L’ho detto e ripetuto stasera al ministro della Salute Speranza, che ha voluto adottare la grave decisione senza alcuna preventiva intesa con la Regione e al di fuori di ogni legittima spiegazione scientifica”, ha spiegato Musumeci.
Il presidente siciliano ha quindi tenuto a produrre “un dato per tutti, oggi la Campania ha avuto oltre quattromila nuovi positivi; la Sicilia poco più di mille. La Campania ha quasi 55 mila positivi, la Sicilia 18 mila. Vogliamo parlare del Lazio? Ricovera oggi 2.317 positivi a fronte dei 1.100 siciliani, con 217 in terapia intensiva a fronte dei nostri 148. Eppure, Campania e Lazio sono assegnate a ‘zona gialla’. “Perché questa spasmodica voglia di colpire anzitempo centinaia di migliaia di imprese siciliane? – incalza il governatore – Al governo Conte chiediamo di modificare il provvedimento, perché ingiusto e ingiustificato. Le furbizie non pagano”, ha concluso Musumeci.
A lamentarsi, pure tanto, è stato il governatore della Lombardia Attilio Fontana. La Regione dall’inizio della pandemia è quella che più ha sofferto e che continua ad avere gli indici più alti. “Le richieste formulate dalla Regione Lombardia, ieri e oggi, non sono state neppure prese in considerazione”.
Fontana parla di “uno schiaffo in faccia alla Lombardia e a tutti i lombardi. Un modo di comportarsi che la mia gente non merita” dice definendo la decisione “grave e inaccettabile”.
Il premier però rifiuta qualunque ipotesi di accordo nel governo per mettere in difficoltà le regioni governate dal centrodestra. “I criteri – ha sottolineato Conte – sono predefiniti e oggettivi e sfuggono ad ogni contrattazione, non si negozia sulla pelle dei cittadini”.
Pure il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia difende il Dpcm, che “non esautora” le Regioni.
Il confronto con i governatori andrà comunque avanti e sarà necessario riuscire a ritrovare quell’unità invocata più volte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
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