Il Governo Meloni comincia dare un’impronta alla sua funzione di guida del Paese: dopo il primo decreto che contrasta l’organizzazione dei rave party, con Sinistra e associazioni degli studenti che temono possa essere esteso anche alla scuola, annullando sul nascere le occupazioni degli istituti, venerdì 4 novembre si è riunito il Consiglio dei ministri per attuare innanzitutto il riordino delle attribuzioni dei ministeri. Sempre attraverso un decreto legge, il CdM ha detto sì alle nuove denominazioni di cui si era già parlato nel giorno dell’insediamento dell’attuale Esecutivo. Tra le novità apportate, viene confermata la trasformazione del ministero dell’istruzione in “ministero dell’Istruzione e del Merito”, specificando le funzioni spettanti al Ministero in materia di valorizzazione del merito.
Sono diversi i ministeri con la denominazione modificata: il Ministero dello sviluppo economico diviene “Ministero delle imprese e del made in Italy” e acquisisce la competenza in materia di promozione e valorizzazione del made in Italy in Italia e nel mondo; il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali diviene “Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e forestale” e acquisisce la competenza in materia di tutela della sovranità alimentare; il Ministero della transizione ecologica è ridenominato “Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica” e diviene competente in materia di sicurezza energetica; il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili si denomina “Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.
Il decreto, inoltre, interviene per facilitare l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, attraverso alcune modifiche alla disciplina relativa alla governance del PNRR.
Infine, sono istituiti il Comitato interministeriale per il made in Italy nel mondo, la Struttura di supporto e tutela dei diritti delle imprese, il Comitato interministeriale per le politiche del mare, con compiti di coordinamento e di definizione degli indirizzi strategici nel settore.
Tra i provvedimenti approvati dal Governo, come abbiamo riportato in un articolo parte, c’è anche la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, la Nadef, che rivede e integra quella deliberata lo scorso 28 settembre, aggiornando le previsioni macroeconomiche e tendenziali di finanza pubblica ed elaborando anche lo scenario programmatico per il triennio 2023-2025.
Ebbene, fanno sapere da Palazzo Chigi con una nota, “la politica economica che il Governo ha adottato si basa sull’esigenza di rispondere all’impennata dell’inflazione e all’impatto del caro energia sui bilanci delle famiglie, specialmente quelle più fragili, e di garantire la sopravvivenza e la competitività delle imprese italiane nel contesto europeo e a livello globale, anche in considerazione dei corposi interventi recentemente annunciati da altri Paesi membri dell’Unione europea e extra europei”.
Un forte impegno sarà anche dedicato all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), da cui dipendono ingenti investimenti per rilanciare la crescita sostenibile dell’economia italiana. Come specificato nella Nadef, l’entità della manovra netta 2023 viene stimata pari a circa 21 miliardi e sarà destinata interamente al contrasto al caro energia.
Sempre da Palazzo Chigi fanno sapere che “il lavoro di predisposizione della legge di bilancio procederà a ritmi sostenuti nei prossimi giorni, con l’obiettivo di consegnare al più presto al Parlamento il disegno di legge di bilancio per il 2023. Con ambizione e pragmatismo per superare le complicate difficoltà di questi anni e rispondere alle migliori speranze dei cittadini, senza tuttavia perdere di vista la sostenibilità della finanza pubblica, come conferma la discesa del rapporto debito Pil da circa 150 per cento del 2021 a poco più del 140 del 2025”.
Guardando, poi, alla definizione degli obiettivi di spesa per il periodo 2023-2025 per ciascun Ministero, ai sensi dell’articolo 22-bis, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il CdM ha previsto “un risparmio in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni pari a 800 milioni di euro nel 2023, 1,2 miliardi nel 2024 e 1,5 miliardi nel 2025”: è molto probabile che anche il dicastero dell’Istruzione dovrà fornire il suo contributo.
La situazione economica dell’Italia, quindi, si conferma in condizioni piuttosto complicate: pensare che in questo stato si possano “spuntare” finanziamenti ulteriori per la scuola, anche solo per gli stipendi, appare assai difficile.
Più di qualcuno, però, qualora anche la scuola dovesse collaborare al risparmio dei comparti pubblici, già grida allo scandalo: si teme, in particolare, che possa tornare una stagione di tagli, come quella che caratterizzerò l’ultimo governo Berlusconi, quando il dimensionamento Tremonti-Gelmini andò a tagliare risorse, posti, tempo scuola e istituti.
Dalla campagna elettorale, che ha visto tutti i partiti impegnarsi per il rilancio della scuola, è passato poco più di un mese: sembra una vita.
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