Secondo il rapporto Ocse, che ha riguardato 64 Paesi e coinvolto 13 milioni di quindicenni, fra di loro uno su quattro non raggiunge il livello minimo in almeno una delle competenze prese in esame: lettura, matematica, scienze.
La considerazione più immediata dice che se nel prossimo futuro tutti gli studenti riuscissero ad acquisire un bagaglio minimo di competenze alfanumeriche, il vantaggio si tradurrebbe in una robusta crescita di del PIL attuale. Infatti gli studenti con scarse competenze in matematica sono 4 milioni; in lettura e in scienze invece sono 3 milioni.
Questo primo studio analitico sull’argomento, se fotografa la situazione, cerca pure di indagare le cause e i fattori di rischio, che, avverte l’OCSE, sono spesso interdipendenti: contesti sociali disagiati dal punto di vista economico, zone rurali, famiglie monoparentali; sfondo migratorio, in cui a casa si parla una lingua diversa che a scuola, con un rischio 2,5 volte superiore, di avere esiti scolastici scarsi; ma anche le bocciature, che aumentano di 7 volte la possibilità di non risalire la china dal punto di vista didattico; la mancata frequenza di una scuola materna, che fa triplicare il rischio di avere magri risultati a quindici anni; l’assenteismo scolastico sia degli studenti che dei docenti. E non ultimo, la mancanza di pressione genitoriale sulle scuole per ottenere prestazioni didattiche elevate, e la propensione degli insegnanti verso la propria professione: in Italia, con una classe docente fra le peggio pagate e con uno status sociale infimo, è fra le più basse in area OCSE.
Sopra il livello minimo di tutte e tre le competenze prese in esame, si colloca il 69% dei quindicenni italiani, contro il 95% dei coetanei di Shanghai. La media OCSE è il 71,6%.
Nel caso italiano, in particolare, nel 2012 erano circa 140 mila gli studenti scarsi in matematica, il 25% del totale, e oltre 67 mila, il 12% quelli scarsi in tutti e tre i campi esaminati dal test Pisa (matematica, lettura, scienze). La percentuale dei ‘low performer’ in matematica è superiore di 2 punti alla media Ocse, ma è calata di 7 punti in dieci anni. Anche per le altre materie la percentuale di allievi in difficoltà è calata negli ultimi anni: 4 punti in meno per la lettura tra 2003 e 2012, 7 in meno per le scienze dal 2006 al 2012. Entrambe restano però superiori alla media Ocse, rispettivamente al 20% e 19%, contro una media del 18%.
Le basse performance scolastiche, rileva ancora lo studio, sono più diffuse tra gli studenti in condizioni socio-economiche svantaggiate, con una quota del 38%, contro 12% per gli studenti di famiglie agiate, e tra gli allievi delle scuole professionali, con una quota del 34%, contro 15% per i liceali.
I ragazzi con risultati scarsi, inoltre, sono quelli che saltano più giorni di scuola, passano meno tempo a fare i compiti (5,6 ore a settimana, contro 9,7 per gli studenti con livello sufficiente o superiore) e sono meno perseveranti. La questione, sottolinea l’Ocse, non riguarda solo la scuola, ma ha anche un rilevante impatto economico.
Mentre gli esiti italiani in lettura sono ancora stabilmente sotto il dato medio, tra il 2003 e il 2012 la situazione è tuttavia parzialmente migliorata per quanto riguarda la riduzione del numero dei quindicenni con basse prestazioni in matematica, diminuito del 7%, con un avvicinamento alla media OCSE. Anche i dati sulle scienze fanno registrare un’evoluzione più positiva nelle prestazioni: la percentuale di studenti con risultati eccellenti è inferiore alla media OCSE ma è aumentata dell’1,5% tra il 2006 e il 2012.
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Ma c’è pure la statistica secondo cui la mancata assiduità nella frequenza delle lezioni aumenta di tre volte la probabilità di avere insufficienze in matematica. E proprio la metà dei quindicenni italiani, dicono ancora i dati, tende ad accumulare assenze e ritardi nell’entrata a scuola: “Comportamenti associati a risultati scarsi”, fa notare l’OCSE.
Per migliorare la situazione didattica dei quindicenni, l’OCSE suggerisce un ventaglio di provvedimenti, fra cui facilitare la frequenza della scuola materna; abbattere i pregiudizi di genere, che tendono a svantaggiare le ragazze rispetto ai coetanei maschi; offrire il più precoce sostegno possibile a chi è in difficoltà, sia con aiuti nell’esecuzione di compiti, sia nella preparazione a verifiche ed esami; assicurare che la ripartizione delle risorse agli istituti scolastici sia equa, dando al contempo spazio all’autonomia delle scuole; incoraggiare il coinvolgimento dei genitori nella formazione dei propri figli.
Ma il rapporto denuncia pure che i quindicenni italiani sono tra gli studenti più assenteisti (secondi solo agli argentini).
Se, come accade sempre più spesso, già all’inizio della scuola secondaria superiore, i quattordici-quindicenni mostrano una sempre più massiccia tendenza alle cosiddette assenze strategiche, usate come mezzo per scansare verifiche scritte e orali programmate. E un’assenza strategica significa evitare di mettersi alla prova e di sottoporsi ad una valutazione, e al contempo mette nei guai i compagni di classe, visto che mancherà il candidato del giorno all’interrogazione, ovvero l’insegnante sarà costretto ad occupare lezioni successive con verifiche nuove ma di pari difficoltà, da somministrare al singolo o al gruppetto che aveva preferito non presentarsi nella data stabilita. Ma soprattutto significa non aver assimilato l’assunto ineludibile che l’istruzione è un fatto da gestire ed agevolare da ciascuno in prima persona e che la scuola è innanzitutto una palestra di vita, dove i fallimenti possono essere recuperati. Arrivare a scuola perennemente con un quarto d’ora di ritardo o addirittura alla seconda ora, o mancare in precisi giorni, e farlo per anni, significa anche portarsi fin dentro al mondo del lavoro quel modo di approcciare le difficoltà, causando disagi a colleghi e azienda.
In altre parole i bambini e poi gli adolescenti non hanno acquisito senso di responsabilità, rispetto delle regole, capacità di affrontare le avversità, considerazione degli altri.
In una vasta platea di studenti italici, paiono insomma mancare i fondamentali di un’educazione generale alla convivenza, che vengono ben prima della matematica, della lettura o delle scienze, e senza i quali non è possibile una formazione scolastica adeguata ai bisogni della vita adulta.
Il problema presenta preoccupanti aspetti sistemici e ha a che fare più con l’educazione di base che con l’istruzione.
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