I lettori ci scrivono

Obbligare allo studio e alla cultura?

I continui episodi incresciosi nella scuola di oggi, qualificati come “bullismo”, “disagio”, disadattamento e chi più ne ha…, suscitano due tipi di reazioni.

Da un lato chi accusa un’oggettiva decadenza morale, con crollo di secolari codici di comportamento e dei valori che li sostengono. E per giunta un’ autorità scolastica fiacca, distratta, se non complice.

Dall’altro chi invece imputa ad una pretesa inadeguatezza degli insegnanti i fattacci ricorrenti, spesso sfocianti nella cronaca nera. Secondo costoro si dovrebbe ricorrere all’arsenale di “strumenti, metodi, strategie” di cui la scuola di massa “pedagogicamente corretta” sovrabbonda, con immancabili interventi di specialisti ed “esperti” di vario genere e carisma, per tamponare le ricorrenti crisi, prevenendo la loro degenerazione: offese, aggressioni, reazioni, tiri al bersaglio sulla cattedra… Ma a mio parere, in ambedue i casi vengono trascurati i due veri corni del problema.

Primo. Una generalizzata scuola dell’obbligo, dall’infanzia alla maggiore età.

I padri fondatori della Costituzione videro nell’ampliamento del diritto all’istruzione, sia per fasce sociali, sia per durata temporale, un’indispensabile conquista civile e morale. Obbligo di licenza media, poi di frequenza del primo biennio superiore. Infine del triennio superiore.

Naturale il loro punto di vista, da ex allievi del modello gentiliano, che Gramsci stesso voleva estendere alle classi popolari. Ben lungi dal disprezzare la cultura umanistica e quella scientifica. Pensiamo al concetto di Letteratura nazional popolare che egli stesso professava.

Ma quello che i padri costituzionali sentivano quale sommo valore, da quando in poi non venne più percepito come tale? Talvolta, anzi, come costrizione insopportabile?

A) Quando la cultura tradizionale venne squalificata come “cultura borghese”: vedi contestazione ’68, sia in versione radical comunista sia in quella cattolica. Don Milani docet. E le masse crebbero sempre più estranee ad ogni retaggio che fosse moralmente ed intellettualmente impegnativo, sprofondando a gradi nell’agnosticismo consumista.

B) Quando seguitare “fino ai più alti gradi degli studi” divenne miserevole parcheggio, in attesa dell’immancabile “pezzo di carta”. Leggi diplomificio di massa.

Secondo. Dal sapere come tramandazione alla “macchina pedagogica”. Dai programmi curricolari alla “mamma sociale” di Stato.

E’ ormai da decenni che si parla sempre meno di contenuti da trasmettere, diluendo la didattica vera e propria in un “melange” psico-pedagogico-educativo ad evidente indirizzo ideologico radical-progressista-arcobaleno la cui mira non è esattamente la formazione ed istruzione dei giovani, ma il loro adattamento al sistema mentale ed economico dominante. Negare tradizione ed identità, perfino quella sessuale e linguistica e rendere fluttuanti ed aleatorie le discipline di studio, cominciando ovviamente da quelle umanistiche.

Concludo con una battuta: abbiamo tendenzialmente una “SCUOLA NON SCUOLA” che disorienta tutti, docenti ed alunni. Una scuola che nega se stessa, come origine, identità, vocazione.

Porto franco proprio per quei disvalori di ignoranza, beceraggine, infingardaggine e violenza, i quali tanto più allignano ed inquinano quanto più si pontifica astrattamente contro di essi. Del resto, nella scuola “democratica”, il cliente-utente ha sempre ragione, o no?

Luigi Grossi

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