Di recente la Ministra Fedeli si è espressa a favore di due importi questioni che, a mio personale avviso, hanno una grande importanza, nel medio e lungo periodo, per il rilancio della funzione della scuola in una società in continua mutazione.
La questione dell’innalzamento dell’obbligo a 18 anni ha anche a che vedere con l’annosa, e ancor non del tutto definita, faccenda del “doppio obbligo” (scolastico e formativo) tutto italiano, il primo di competenza statale, il secondo di competenza regionale.
Un modello da ripensare e rivalutare, forse, se dalle sue maglie, piuttosto larghe, continuano a fuoriuscire parecchi studenti e studentesse destinati a ingrossare le già poco lodevoli fila degli espulsi dal sistema dell’istruzione e delle quali l’Italia continua a mantenere il solido primato europeo.
Tra le tesi dei detrattori e quelle dei favorevoli (sebbene mi collochi tra i secondi) all’innalzamento dell’obbligo scolastico (e immagino a una conseguente scomparsa di quello formativo) una domanda (mettendo a parte le personali visioni) sorge spontanea: alla fine, se l’obbligo fosse portato a 18 anni, cosa accadrebbe?
L’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, quali effetti negativi produrrebbe sul sistema attuale?
Premesso che la soglia del compimento del 16° anno, come dead-line dell’obbligo di istruzione, deve ancora dimostrare di avere una qualche efficacia e utilità sul piano della professionalizzazione e del rafforzamento delle competenze dei ragazzi e delle ragazze (e direi che tempo ne è già passato per trarre qualche conclusione), forse che nei quattro Paesi (Belgio, Olanda, Germania, Portogallo) dove vige già quest’obbligo, ciò ha determinato profondi sconquassi economici e sociali? Perché dunque non farlo anche in Italia?
Dall’innalzamento dell’obbligo alla seconda la seconda questione, per certi aspetti assai più complessa, il passo è breve. Mi riferisco al il riordino dei cicli.
L’Italia, si sa, è un Paese a tendenza conservatrice, nella scuola e non solo: sebbene la Riforma Gentile/Radice (1923) sia andata quasi del tutto in soffitta, il modello dell’istruzione secondaria di primo e di secondo grado, ne respira ancora l’aria a pieni polmoni, soprattutto nel mantenimento della impostazione organizzativa.
Prime domande: per quale motivo la scuola media (mi scuso per non averla chiamata nel modo pleonastico che le è stato attribuito) continua a essere proposta come segmento triennale?; quindi: perché la scuola superiore continua a essere frazionata in Licei, Istituti Tecnici e Istituti Professionali?
Altre domande: è dimostrabile una qualche utilità nella frammentazione delle scuole superiori in tre e nella specializzazione precoce?
È dimostrabile una qualche utilità nel fatto che ragazzini e ragazzine di 13 o 14 anni apprendano discipline come Economia Aziendale, Estimo, Chimica degli alimenti, Greco (solo per citarne alcune)?
É dimostrabile che per imparare a fare il Geometra, il Perito elettronico,
L’aspirante al comando delle navi mercantili, sia necessario iniziare il percorso a 13 anni? Cosa cambierebbe se ciò accadesse a 15/16 dopo aver effettuato un percorso uguale per tutti con buona pace per gli ultras della tripartizione (licei, tecnici, professionali) ancora gentiliana?
Per rendere concrete le proposte, se potessi dire alla Ministra come penso che possa essere riorganizzata la scuola, le fornirei questi schemi:
Sezioni primavera (non obbligatorie) dai 2 ai 3 anni
Scuola dell’Infanzia (obbligatoria): dal 3° al 5°/6° anno (durata 3 anni)
Scuola primaria (obbligatoria) dal 6° al 10° anno (durata 5 anni) a 40 ore con i moduli (il maestro unico…?).
Scuola media (obbligatoria) dal 10° al 13° anno (durata 4 anni, due bienni) a 40 ore.
Scuola superiore (obbligatoria) dal 13°/14° anno a 17/18° anno (durata 4 anni, due bienni) a 40 ore tutto incluso (studio individuale e collettivo, alternanza scuola-lavoro, corsi di recupero, laboratori, ecc..) ed eliminazione della nomenclatura vintage (Liceo, Istituto Tecnico e Istituto professionale).
Una normale “scuola superiore” nella quale il primo biennio deve essere uguale per tutti e nel quale studiare e imparare, a parte le canoniche Italiano, Storia, Geografia, Matematica, Scienze, Ed. Fisica, le fondamentali lingue straniere (2) ma anche il Diritto e l’Economia, la Filosofia, la Storia dell’Arte; la “specializzazione” verrebbe configurata nel secondo biennio, sia essa di tipo professionalizzante, tecnico o liceale, introducendo le discipline di indirizzo (Classico, Tecnico, Artistico, Professionale, ecc.) e ulteriormente approfondita con un percorso post-diploma professionalizzante (gli IFTS esistono ancora, o no?) gestito dalle istituzioni scolastiche dal 18° anno.
È lì che si dovrebbe configurare realmente l’alternanza scuola-lavoro e non a 15/16 anni come nella configurazione attuale.
So che queste proposte faranno storcere il naso (per usare un eufemismo) a molti, moltissimi colleghi e colleghe, ma mi piace pensare che la differenza di opinioni su un tema delicato come quello della scuola (per chi ce l’ha a cuore) non possa che favorirne un graduale adeguamento alla realtà odierna e futura.
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