Occupare una scuola per organizzare uno sciopero di protesta equivale ad un’interruzione di pubblico servizio punibile come reato.
A stabilirlo è stata, il 20 settembre, la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 35178 ha confermato la responsabilità penale di due donne pronunciata dalla Corte d’appello di Catanzaro (e prima ancora dal Tribunale di Rossano, nel cosentino) in relazione al reato di interruzione di pubblico servizio commesso all’interno di un istituto scolastico.
La Suprema Corte ha invece respinto il ricorso dell’avvocato delle due lavoratrici annullando la condanna per invasione di edifici.
A stabilirlo è stata, il 20 settembre, la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 35178 ha confermato la responsabilità penale di due donne pronunciata dalla Corte d’appello di Catanzaro (e prima ancora dal Tribunale di Rossano, nel cosentino) in relazione al reato di interruzione di pubblico servizio commesso all’interno di un istituto scolastico.
La Suprema Corte ha invece respinto il ricorso dell’avvocato delle due lavoratrici annullando la condanna per invasione di edifici.
Le due donne, assunte come impiegate a tempo determinato, erano entrate nell’istituto con le chiavi ma senza nessuna autorizzazione: lavoravano come precarie ed avevano occupato i locali della scuola per scioperare come forma di protesta per rivendicare l’assunzione.
La difesa delle due donne ha tentato di smontare l’impianto accusatorio sostenendo la legittimità del diritto di sciopero delle precarie che volevano solo essere assunte con contratto a tempo indeterminato.
Ma questa tesi non ha convinto i giudici della Corte di Cassazione, i quali hanno spiegato che “le imputate, pur avendo agito per motivi sindacali, hanno del tutto consapevolmente cagionato l’evento, consistente nella alterazione del normale svolgimento del servizio scolastico: e ciò integra, anche sotto il profilo soggettivo, il reato in esame”.
La difesa delle due donne ha tentato di smontare l’impianto accusatorio sostenendo la legittimità del diritto di sciopero delle precarie che volevano solo essere assunte con contratto a tempo indeterminato.
Ma questa tesi non ha convinto i giudici della Corte di Cassazione, i quali hanno spiegato che “le imputate, pur avendo agito per motivi sindacali, hanno del tutto consapevolmente cagionato l’evento, consistente nella alterazione del normale svolgimento del servizio scolastico: e ciò integra, anche sotto il profilo soggettivo, il reato in esame”.
Le donne non hanno neppure avuto le attenuanti generiche: “Quanto al mancato riconoscimento è agevole osservare – hanno spiegato i giudici della II sezione Penale – che i motivi di particolare valore morale e sociale non possono certo essere riconosciuti nel comportamento di chi commette consapevolmente un reato per indurre la pubblica amministrazione a trasformare in definitivo un contratto di lavoro a tempo parziale, con l’affermazione, per altro del tutto infondata, che la volontà dell’illecito comportamento era quello di eliminare una situazione effettivamente antisociale”.
Le due lavoratrici a tempo determinato erano state condannate a un mese di reclusione, con la continuazione, per i reati di interruzione di pubblico servizio e invasioni di edifici, prima dal Tribunale di Rossano nel 2004 e poi dalla Corte d’appello di Catanzaro nel 2006, secondo la quale le due donne si erano introdotte “arbitrariamente nell’edificio scolastico, al fine di occuparlo”.
Pur con le dovute cautele e differenze del caso, la sentenza dei giudici del “Palazzaccio” rischia di diventare un ‘pericoloso’ precedente per tutti quegli studenti che con ogni probabilità nei prossimi mesi avvieranno – come avviene ormai da decenni – iniziative di proteste e di occupazione delle scuole.
Sostenere cause, anche valide e ineccepibili, non giustifica infatti atteggiamenti o comportamenti che contrastano con la legalità e le regole del vivere civile. E la scuola non è un territorio franco.