Un nutrito gruppo di docenti della scuola dell’infanzia e della primaria, da oggi, mercoledì 27 dicembre, sta occupando gli uffici dell’Usr Lombardia per protestare contro le prossime espulsioni dalle GaE dopo la sentenza del Consiglio di Stato per i diplomati magistrali.
Migliaia di lavoratori della scuola torneranno ad essere precari e molti altri non avranno più la possibilità di vedersi riconosciuto il diritto all’assunzione non potendo permanere nelle graduatorie ad esaurimento.
E’ arrivata prima di Natale la tanto attesa decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ma non ha portato affatto i regali che si sperava.
Una bruttissima sorpresa ha infatti riservato il massimo consesso della Giustizia amministrativa alle migliaia di docenti che, dopo innumerevoli battaglie giudiziarie, speravano fosse finalmente giunto il momento di vedere sancito, una volta per tutte, il loro diritto all’inserimento nelle Gae a pieno titolo.
Con la sentenza depositata il 20 dicembre, l’Adunanza plenaria ha infatti totalmente smontato tutto quello che, dal 2014, era stato faticosamente costruito, tassello dopo tassello, nelle aule di Giustizia.
Possiamo riassumere in tre semplici concetti le 37 pagine della sentenza:
– i diplomati avrebbero dovuto presentare nel 2007, a pena di decadenza, la domanda di inserimento nelle Gae;
– avrebbero dovuto, a pena di decadenza, impugnare il decreto di aggiornamento delle Gae del 2007;
– in ogni caso, il diploma magistrale conseguito prima del 2002 non ha valore abilitante, ma consente solo la partecipazione ai corsi abilitanti ed alle procedure concorsuali.
L’Adunanza plenaria giunge a queste lapidarie conclusioni, passando prima attraverso la totale demolizione della sentenza n.1973/2015 emessa dalla VI sezione del Consiglio di Stato, ritenendola errata sotto svariati aspetti e rilevando, comunque, che la stessa non ha efficacia erga omnes, in quanto al DM 235/2014 non può essere riconosciuta natura normativa, quindi attraverso l’enunciazione del principio di diritto secondo il quale si sarebbe determinata una decadenza sostanziale e processuale, in quanto la presunta natura abilitante del diploma, non sarebbe stata “creata” nel 2014 in seguito al parere dello stesso Consiglio di Stato, avendo quest’ultimo semplice natura ricognitiva di una presunta natura abilitante riconosciuta direttamente dalla legge.
Dalla preesistente – e presunta – natura abilitante del titolo, ne deriverebbe la necessità di presentare la domanda di inserimento nelle Gae nel 2007, ossia nel momento in cui le graduatorie permanenti sono state trasformate in graduatorie ad esaurimento, e la conseguente necessità di impugnare il decreto di aggiornamento del 2007, primo e unico, a dire della sentenza in esame, atto immediatamente lesivo.
Quale ciliegina sulla torta, l’Adunanza plenaria ha del tutto smontato anche la teoria della natura abilitante del diploma conseguito prima del 2001/2002.
Secondo il Collegio invero, dal parere del 2013, da cui si è fatta discendere la presunta natura abilitante del diploma, si può ricavare soltanto che il titolo in questione, lungi dall’essere abilitante all’insegnamento, consente solo la possibilità di partecipare ai corsi abilitanti o ai concorsi per titoli ed esame a posti di insegnamento, ma di per sé non consente l’immediato accesso ai ruoli.
In buona sostanza, secondo l’Adunanza plenaria, il titolo non è abilitante ed anche qualora lo fosse, in ogni caso, non è più possibile rivendicare alcunché, considerato che la domanda di inserimento avrebbe dovuto essere presentata nel 2007 e che era necessario impugnare il decreto di aggiornamento del 2007.
A questo punto l’unico scenario, al momento possibile, vede del tutto “salvi” dagli effetti di questa pronuncia solo i 2 mila “fortunati” che hanno ottenuto una sentenza già definitiva del Consiglio di Stato (o del Tar).
Tutti gli altri, ossia le migliaia di docenti inseriti con riserva nelle Gae in virtù di provvedimenti cautelari, saranno inevitabilmente coinvolti dallo tsunami che deriverà da questa pronuncia.
Tuttavia, gli effetti a cascata si vedranno solo nel momento in cui i relativi giudizi verranno decisi nel merito (il Presidente del Tar Lazio nelle scorse settimane aveva rinviato a data da destinarsi le udienze di merito proprio per attendere la decisione della Plenaria).
A nostro parere, quindi, fin tanto che non verranno decisi nel merito i giudizi pendenti, rimarranno ferme le ordinanze cautelari con il conseguente inserimento – con riserva – nelle gae, nonché gli eventuali contratti a tempo indeterminato eventualmente sottoscritti.
È evidente però che una volta definito negativamente nel merito il giudizio, verrà meno l’efficacia delle ordinanze cautelari e, quindi, l’inserimento con riserva nelle gae, anche laddove questo è stato il presupposto che ha consentito l’immissione in ruolo.
Il panorama che si presenta non è certamente dei più rosei, ma non è detta ancora l’ultima parola.
Si era già profilata, alla vigilia dell’udienza del 15 novembre, l’eventualità di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e certamente questa è l’ultima via da intraprendere.
Ricordiamo però che i ricorsi alla CEDU sono ammissibili solo una volta esaurite le vie di ricorso interne; pertanto occorrerà attendere la definizione di tutti i gradi di giudizio prima di poter adire la CEDU e portare innanzi alla Giustizia comunitaria la questione.
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