Si continua a parlare dell’occupazione dello scorso dicembre del liceo Tasso di Roma, il cui dirigente scolastico ha deciso di punire con il pugno duro coloro che vi hanno partecipato e hanno causato danni ingenti all’edificio, con il plauso del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.
A parlare, ai microfoni de Il Corriere della Sera, è uno dei rappresentanti dell’istituto, 17 anni, che ha spiegato che non tutti gli studenti erano favorevoli all’occupazione. Ecco la sua opinione: “È un metodo di protesta che non porta risultati, ha perso il valore che aveva una volta. L’anno scorso ho votato a favore dell’occupazione e il risultato è stato un Regolamento d’istituto molto restrittivo. Inoltre, si è votato all’interno del collettivo che è un organo esterno e non ha al suo interno tutti gli studenti, contrariamente all’assemblea d’istituto, per questo lo ritengo un atto antidemocratico. Il problema è che questi atti sono il risultato estremo della mancanza di dialogo”.
Secondo il ragazzo bisogna ripensare da zero la didattica, adattandola alle istanze del mondo odierno: “Oggi studiamo ancora le stesse cose di mia nonna. Vogliamo un cambio radicale della didattica, che sia resa interdisciplinare e con l’inclusione di nuove tematiche come il transfemminismo, l’aggiornamento dei libri di testo e una maggiore attenzione per la storia del ‘900”.
“Personalmente avevo proposto l’autogestione, dove si può instaurare un dialogo con professori e preside, ma è stata criticata perché secondo i miei compagni non ha un valore politico”, ha concluso.
Come abbiamo scritto, il dirigente scolastico ha deciso di agire con pugno duro sui 170 studenti occupanti con delle sanzioni: 10 giorni di sospensione dalle lezioni, di cui 8 da svolgere con attività socialmente utili, più 5 in condotta al termine del primo quadrimestre.
Come riporta Il Corriere della Sera il dirigente, con una lettera firmata anche da 32 docenti, ha denunciato le “strumentalizzazioni” della vicenda, parlando di “manipolo di studenti che impone la scelta a tutti gli altri e nottetempo entra a scuola bloccando la didattica curricolare a vantaggio di lezioni tenute da ospiti più o meno famosi e corsi su fumetti, fotografia, burraco tenuti da sedicenti rivoluzionari”. L’epilogo della protesta, scandita da “musica, balli, birra e spritz”, culmina nella “conta dei danni” con il dispendio di denaro pubblico per sanificare i locali.
In alcuni passaggi della nota vengono chiamati in causa esponenti politici che, nei giorni scorsi, hanno difeso i ragazzi: dal segretario romano del Pd, Enzo Foschi, secondo il quale l’occupazione sarebbe l’unico modo “per manifestare un disagio e porre domande”, alla deputata dem Michela Di Biase, critica nei confronti di un approccio ritenuto repressivo (la replica: “Nessuno di noi crede che la scuola sia un luogo di punizione”).
Le parole più dure sono per l’ex deputato di Si Stefano Fassina che non ha impedito alla figlia di partecipare “in nome di un obiettivo educativo primario: la maturazione del dovere della responsabilità delle proprie scelte di vita”. Ecco le parole del dirigente: “Non sarebbe stato meglio che un genitore che ha un ruolo politico si limitasse a svolgere tra le mura domestiche il ruolo di padre? I figli smettano una buona volta di essere protetti dai padri”.
A commentare la faccenda anche il giornalista Massimo Gramellini, sempre su Il Corriere, che ha lodato il dirigente. “La mia generazione è cresciuta contestando l’autorità e quindi la scuola, ma non aveva (e nemmeno voleva) l’appoggio dei padri: li considerava alleati della controparte, come in effetti erano. Perché i padri (e le madri) si sentivano ancora membri di una comunità più vasta, non capiclan chiamati a difendere l’onore della famiglia. Proteggevano i figli solo quando li vedevano in preda alla disperazione o vittime di un reato. In tutti gli altri casi li lasciavano liberi di misurarsi con il potere, di vincere e perdere le loro sfide adolescenziali. Intuivano che, se un genitore difende il figlio contro il preside, gli trasmette il messaggio che la scuola non vale niente. Mentre, se un genitore sta dalla parte della scuola persino quando ritiene che abbia torto, il preside ritroverà la sua autorevolezza e forse non sentirà neanche più il bisogno di diventare autoritario”.
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