Secondo l’Ocse, le lauree triennali faticano ancora a conquistare il mondo del lavoro e mette l’Italia all’ultimo posto della classifica che misura il tasso di occupazione in rapporto al titolo di studio negli stati dell’area: nel nostro Paese il livello di occupazione dei 25-34enni con laurea breve è inferiore al 10% , contro una media Ocse che sfiora il 60 per cento.
Dottorati, master e titoli di laurea “lunghi”, dunque, continuano a pesare sul mercato più dei titoli triennali: un andamento «sorprendente» dice l’Ocse, visto che la riforma del sistema universitario guidata dal Processo di Bologna puntava proprio sui corsi brevi per favorire un inserimento più precoce nel mercato del lavoro.
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In generale, dicono i dati riportati dal Sole 24 Ore, a un titolo di studio più alto corrispondono maggiori livelli di occupazione, con i dottorati che vantano i tassi più alti. Ma i valori variano «enormemente» da un paese all’altro, sottolinea l’Ocse. Se i mercati di Italia, Grecia e Spagna, insieme con Norvegia e Svezia, fanno ancora fatica ad assorbire i laureati triennali, lo stesso non accade in Austria, Francia e Lussemburgo, dove i datori di lavoro, invece, sembrano dare maggiore valore ai corsi di laurea brevi.
Di qui la necessità, sottolinea l’Ocse, di riforme che siano meno “calate dall’alto” e più vicine alle reali esigenze dei giovani e del mercato. E in questo senso è essenziale che il mondo dell’istruzione e quello produttivo lavorino insieme. «Le riforme dell’istruzione sono spesso fondate su un approccio che guarda più al lato dell’offerta- scrive l’organizzazione – e spesso i governi e le università si aspettano che il mercato del lavoro si adatti facilmente a queste riforme. Mentre per salvaguardare il futuro dei giovani è molto più importante tenere in considerazione il rapporto tra domanda e offerta, in modo da coordinare l’acquisizione di competenze e qualifiche con le esigenze del mercato».
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