Scrive il Wwf: Acqua e clima rappresentano due crisi correlate. I problemi legati all’acqua, da un lato la siccità, con il relativo aumento degli incendi, dall’altro alluvioni e inondazioni, sono destinati a peggiorare in tutto il mondo con la crisi climatica. A rischio ci sono milioni di specie animali e vegetali, inclusa la specie umana che già vede oltre due miliardi di persone in situazione di precarietà o sofferenza idrica. Non a caso proprio oggi si apre a New York la seconda Conferenza Mondiale sull’Acqua, a 45 anni dalla prima (1977).
L’acqua che beviamo, fa sapere il Wwf, è solo una piccola parte di quella che consumiamo ogni giorno. Al consumo diretto che in Italia è di 236 litri al giorno a persona contro una media europea di 165 litri, va aggiunto quello indiretto, legato all’ acqua nascosta, ossia quell’acqua necessaria per produrre i beni e i servizi che utilizziamo e il cibo che mangiamo. Se compriamo una t-shirt in cotone, mangiamo una bistecca o beviamo una birra stiamo consumando acqua. Ogni fase produttiva per realizzare un prodotto finito può consumare acqua. La somma di tutti questi consumi rappresenta l’impronta idrica quotidiana. In Italia consumiamo in media circa 130 miliardi di m³ all’anno, una delle impronte idriche più alte d’Europa, con una media di 6.300 litri a persona al giorno. Consumi non più sostenibili e allarmanti considerando che secondo il World Resources Institute nel 2040 l’Italia sarà in un serio stress idrico.
Il 90% dell’impronta idrica di ciascuno di noi è determinata dal cibo che porta in tavola. È stato stimato che ogni persona “mangia” in media 5.000 litri di acqua al giorno: mangiamo assai più acqua di quella che beviamo (da 1.500 a 10.000 litri al giorno, a seconda di dove si vive e di cosa si mangia).
Intanto la siccità avanza, si pensi alla Francia, alla Gran Bretagna e al Nord Italia. Dobbiamo anche fare i conti con una riduzione di disponibilità idrica del 19% registrata negli ultimi trent’anni rispetto al precedente periodo.
Intanto il 43% delle scuole del mondo non dispone di acqua nemmeno per lavarsi le mani,
come sottolinea Anna Crescenti, esperta Wash (Water, Sanitation and Hygiene) per WeWorld, secondo la quale è importante educare a sperimentare buone pratiche di igiene soprattutto in quelle aree dove le bambine e i bambini vivono in contesti di emergenza e di vulnerabilità: “L’accesso all’acqua potabile, ai servizi igienico sanitari e all’igiene è fondamentale all’interno delle scuole di tutto il mondo per diminuire la trasmissione delle malattie e garantire ambienti sicuri per tutte le bambine e i bambini. L’approccio Wash nelle scuole, infatti, spesso rappresenta l’unico modo di offrire a bambine e bambini acqua potabile, servizi igieni sanitari funzionanti e divisi per genere, e strutture per il lavaggio delle mani.
“Questo a maggior ragione in contesti di emergenza. Eppure ancora oggi il 43% delle scuole nel mondo non dispone di acqua e né di sapone per lavarsi le mani. La scarsa disponibilità e l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari sono una delle principali preoccupazioni per la salute e costituiscono un ostacolo ad un’istruzione di qualità nelle scuole. Per le ragazze, inoltre, servizi igienici non divisi per genere, non illuminati o senza porte rappresentano una fonte di imbarazzo e pericolo e costituiscono una delle maggiori cause di abbandono scolastico per le ragazze adolescenti”.
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