A riflettori spenti, dopo le manifestazioni del 25 aprile, ritengo utile qualche riflessione sulla parola “Resistenza” e sull’inutilità e assurdità di tutte le guerre.
Prendo spunto dalle profonde e significative pagine di Elias Canetti, “Massa e potere”, sul tema del sopravvissuto. Vincere è sopravvivere in un mondo di morti: “La sensazione di forza che scaturisce dal sopravvivere è fondamentalmente più forte di ogni afflizione: è la sensazione di essere eletti tra molti che hanno un comune destino… Colui al quale accade di sopravvivere più volte è un eroe”, un eroe che riesce ad uccidere tutti i nemici senza essere ucciso.
La storia è fatta di guerre, di eccidi, di genocidi, di martiri, di eroi, ma anche di pace. E qualche scienziato, per fortuna, ha scritto che la soluzione ultima del problema delle guerre, può solo venire dal riconoscimento da parte di tutti che, nel nostro tempo, l’umanità appartiene a un solo mondo e che c’è un solo comune nemico: la nostra irrazionalità che ci impedisce di affrontare insieme e risolvere pacificamente i problemi che affliggono l’umanità.
È stupefacente la freddezza con cui, ancora oggi, la maggior parte dell’umanità, in nome della libertà e della difesa dei propri ideali, giustifica la guerra. Ma, come afferma Mounier, non c’è guerra per la libertà, perché alla fine della guerra non ci sono più libertà.
Pertanto, le tradizionali giustificazioni della guerra che hanno permesso di distinguere guerre giuste, guerre ingiuste e guerre di resistenza, non sono più valide, perché pongono come valore assoluto non la vita umana, ma la libertà da difendere con ogni mezzo, anche con le armi. In questi casi, la guerra, l’odio, la volontà di distruggere il nemico, di sopraffare l’altro, diventano un male necessario.
Purtroppo, niente può cancellare il terrore della violenza e della morte. E l’uomo che procura la morte di un altro uomo è un dissennato e un irresponsabile.
La presenza della guerra in ogni fase della storia umana costituisce uno dei problemi più inquietanti e, ancora oggi, l’umanità, per nulla libera dai miti ancestrali della fecondità della violenza e della rigenerazione attraverso il sangue, si trova di fronte all’ultimo bivio: liberarsi definitivamente dall’istinto di aggressione o diventare strumento di morte universale; riuscire a risolvere i conflitti con le armi della ragione o sprofondare nel baratro dello stato di natura hobbesiano; percorrere la via che conduce all’uscita o finire in un abisso.
Si tratta, in pratica, di andare oltre la linea di confine tra ragione e torto, riparazione di un torto subito e punizione di un colpevole, perché, in assenza di criteri di giustizia comunemente accettati, una guerra può essere vista e vissuta come giusta da entrambi le parti ( Vedi l’attuale conflitto Russia-Ucraina, Israele-Palestina).
Ogni rivoluzione, ogni guerra, ogni aggressione è sempre, per giudizio etico e non giuridico, illegittima.
Il nuovo ordine mondiale deve essere, dunque, costituito da una forza che non aggredisce, ma custodisce, da una testimonianza reale della conquista della pace attraverso una riforma morale, una sorta di prefigurazione di una umanità veramente liberata dalla guerra.
E l’esempio più alto e convincente lo troviamo in Gandhi. Lui si scrolla di dosso il terribile obbligo della “Reazione violenta”, della necessaria risposta ad un’aggressione. Con lui la “Resistenza passiva” diventa il becchino della violenza attiva, la Pace, diventa il becchino della Guerra.
Leggere la storia con gli occhi della pace è, dunque, una scommessa importante, soprattutto, perché a livello educativo incombe su ciascuno di noi, il notevole peso della responsabilità e non serve più battersi il petto in segno di contrizione: Si vis pacem para pacem, etiam contra bellum. (Se vuoi la pace prepara la pace, anche contro la guerra).
Fernando Mazzeo
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