Per tentare di comprendere la genesi della tragedia di Paderno, il noto psichiatra Luigi Cancrini ha ripreso in questi giorni – intervistato dal quotidiano La Repubblica – un’immagine dello psicanalista americano Bruno Bettelheim che, per definire le psicosi dell’infanzia e dell’adolescenza, parlava di questi ragazzi ammalati come di “fortezza vuote”, che nascondono l’abisso che hanno dentro dietro un paravento di normalità.
Per una volta, quanto meno per insufficienza di prove, i social ne vengono fuori assolti: alla domanda del giornalista se possa esserci un legame con l’esposizione continua ai social e alla violenza presente nel Web e nei videogiochi, lo psichiatra risponde che siamo di fronte a un disturbo più profondo, non a una devianza che può nascere da un contesto sociale, dalla droga o dal confondere il reale con il virtuale. Ho pensato a Raskolnikov, il protagonista di Delitto e Castigo. Anche lui uccide per scacciare i propri fantasmi.
Su un altro quotidiano, Il Corriere della Sera, lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini afferma che dietro la solitudine degli adolescenti si cela un dolore, che può essere enorme, e che nasce dal fatto che non hanno la possibilità di esprimere liberamente, senza paura di essere giudicati o repressi, le proprie emozioni, soprattutto quelle che riguardano le loro fragilità come esseri umani: dolore, rabbia, tristezza.
Prevenire, dunque, appare impresa ardua, tutti sono concordi nel dire che è davvero difficile cogliere segnali premonitori. Noi, uomini e donne di Scuola, pensiamo tuttavia che qualcosa vada tentata e che sia impossibile rimanere inerti di fronte a simili drammi.
In altre parole, la Scuola ha gli strumenti per cercare di entrare dentro queste “fortezze vuote”, proponendo nuove prospettive che possano, ancorché molto lentamente, riempire l’abisso scacciando i fantasmi che lo abitano?
Avanziamo timidamente una proposta per i Collegi dei docenti che in questi giorni si stanno incontrando per programmare il nuovo anno: si interroghino su questo e decidano di investire in umanità oltre che in professionalità. Spieghiamo meglio: perché non pensare a percorsi lunghi di volontariato da fare svolgere ai ragazzi e alle ragazze presso un ente, un istituto, una casa-famiglia, che li metta in contatto diretto con il dolore ‘vero’ che è attorno a noi? I bambini ammalati negli ospedali, gli anziani nelle case di riposo, gli immigrati nei centri di accoglienza.
È possibile che ‘di dolore in dolore, questo inverno passerà’? Che l’inverno che attanaglia questi giovani – se non si è ancora trasformato in patologia – possa sciogliersi davanti alle sofferenze reali, concrete, tangibili, di altri esseri umani angosciati che guardano con disperazione al loro futuro? Chissà, forse no, ma di certo sarebbe meglio di un’alternanza scuola/lavoro spesso noiosa e improduttiva. Un’attività che permetta di esprimere l’umanità, la fratellanza, la solidarietà che – ancorché spesso sotto una coltre di ceneri varie – ardono in tutti gli adolescenti, potrebbe, chissà, riempire una fortezza vuota.
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