Il ragazzo di diciassette anni che ha confessato di aver ucciso madre, padre e fratellino di dodici anni a Paderno Dugnano, nel milanese, detenuto al Beccaria di Milano, ha chiesto di poter leggere i propri libri di scuola in carcere ed è stato accontentato.
“Sta leggendo i libri della biblioteca, è un ragazzo che legge molto e mi ha chiesto anche i libri della scuola. Oggi gliene ho portato uno”, ha detto il suo avvocato, che lo ha incontrato oggi, come riporta Il Messaggero.
“Provo dolore, pentimento, vorrei tornare indietro”, ha detto il ragazzo, come riporta RaiNews. “Provavo un disagio, un’angoscia esistenziale, ma non pensavo di arrivare a ucciderli, non mi so spiegare cosa mi sia scattato quella sera, purtroppo è successo”, queste le sue parole.
“Non lo abbandoneremo mai, gli staremo sempre vicino”, ha assicurato il nonno, “malgrado il dolore” e il fatto che “non si riesca a spiegare quello che è accaduto”. Nei prossimi giorni cominceranno i colloqui con gli psicologi del Beccaria.
Il ragazzino tra tre settimane compirà diciott’anni. Il giovane avrebbe detto ai giudici di sentirsi “oppresso” dalla famiglia e per liberarsi da questa sensazione l’avrebbe eliminata. Il 17enne, che frequenta il liceo scientifico, sarebbe un genio della matematica ma, come riporta La Repubblica, era uscito con un debito proprio in matematica. E alla domanda, ieri, degli investigatori, se questo può aver avuto un peso nella sua deriva omicida, lui ha scosso la testa.
Il ragazzo in passato ha partecipato alle finali nazionali dei giochi di matematica. “Il mio Einstein”, lo chiamava la madre. “Frequentava l’ultimo anno di liceo, è un ragazzo tranquillo, sveglio, a posto. Fa sport. L’ultima persona da cui ti aspetti che possa fare del male” lo descrive un amico. Anche gli insegnanti dei ragazzi dicono che erano entrambi tranquillissimi. La scuola al momento cerca di serbare il silenzio.
Dopo le parole dello psichiatra Paolo Crepet a dire la sua è stato il pedagogista Daniele Novara. Ecco cosa ha detto: “Troppo spesso si cercano con i figli relazioni confidenziali, se non amichevoli, che non arginano di certo le istanze aggressive. Genitori che vivono spesso nell’innocenza del mito del dialogo, della parola, dello scambio. Così facendo abdicano al loro ruolo genitoriale, impedendo il mantenersi della giusta distanza e quindi della propria titolarità educativa. E finendo con il diventare amici dei figli, e non genitori.
Un quadro che sta creando una generazione di ragazzi e ragazze scarsamente propensi a gestire le contrarietà, quelle situazioni in cui gli altri non sono d’accordo con te, non ti danno ragione, le cose non vanno come volevi. Si creano così corto circuiti che portano spesso a comportamenti aggressivi legati alla frustrazione di non saper gestire adeguatamente i conflitti relazionali”.
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