Epidemiologi, virologi, esperti vari, numeri alla mano, non hanno dubbi: nei prossimi giorni i contagi da Covid aumenteranno. Del resto, anche l’Oms ha detto che entro due mesi la metà dei cittadini europei sarà colpita dalla variante Omicron. I numeri lo confermano: nelle ultime ventiquattr’ore abbiamo avuto oltre 300 vittime e ancora 200mila nuovi contagiati, Sembra che il picco arrivi a breve o a fine mese. Secondo Vittoria Colizza, direttrice del laboratorio EPIcx e consulente del governo francese per affrontare la pandemia, l’apice dei positivi è possibile che “si raggiunga rapidamente” e subito dopo vivremo un graduale “calo della pressione sugli ospedali”.
Il picco a breve
Intervistata dalla Stampa, Colizza però specifica: “non sappiamo se raggiunto il picco avremo una decrescita rapida o una situazione ad alta incidenza per qualche settimana, come osservato in questi giorni a Londra. In Italia la quarta ondata è partita con qualche giorno di ritardo, quindi è probabile che occorra un po’ di tempo in più”.
Scuole aperte? L’importante è “come”
L’obiettivo, dice la direttrice, è arrivare ad “un’immunizzazione contro le forme gravi sufficiente da rendere l’impatto sanitario gestibile. Ma non sappiamo con quali scale di tempo, se in sei mesi o tre anni. Sempre che non spuntino nuove varianti con maggior patogenicità o evasione immunitaria. Cosa che al momento non si può escludere”.
Sulle scuole aperte, Colizza ha invece una certezza: è un fattore di propagazione “ma la questione non è se tenere aperte le scuole, bensì come“.
La mancanza della scuola ha un impatto psicologico fortissimo
Non recarsi a scuola, prosegue, “ha un impatto psicologico fortissimo sui ragazzi, ne condiziona l’educazione e lo sviluppo e crea ineguaglianze” e “ha conseguenze economiche per l’impatto sul lavoro dei genitori”.
Quindi, bisognerebbe agire sulle condizioni in cui si sta in classe: per l’esperta, bisognerebbe “insistere sull’areazione dei locali. Poi occorre incentivare l’auto-testing, da fare anche a casa, ripetuto a intervalli brevi”.
Se si riuscisse a “ripeterli spesso”, Colizza è convinta che lo stop alla didattica in presenza si ridurrebbe “tra il 70 e l’80%”.
L’allarme della Fondazione Gimbe
Il problema, secondo la Fondazione Gimbe, è che invece si sta andando verso la chiusura delle scuole, alla pari di altre strutture pubbliche.
“L’enorme numero di persone positive sta progressivamente paralizzando numerosi servizi essenziali: dai trasporti alla scuola, dalla sanità agli uffici pubblici”, dice l’organismo autonomo.
L’andamento degli ultimi giorni parla da solo: dal 5 all’11 gennaio, si legge nel monitoraggio Gimbe, “continua a crescere la pressione sugli ospedali sia nei reparti di area medica che nelle intensive”. Salgono infatti del 31% i ricoveri di pazienti Covid-19 con sintomi (passati da 12.912 della settimana precedente a 17.067) e del 20,5% le terapie intensive (passate da 1.392 a 1.677). Ma a crescere del 35,4% sono anche i decessi. E non va trascurato il fatto che “il sovraccarico degli ospedali comporti il rinvio della cura di altre malattie”.
A fine mese molte Regioni in zona arancione
Nino Cartabellotta, alla guida di Gimbe, si scaglia contro le “distorte narrative ottimistiche appannano l’insufficienza delle misure per rallentare la curva dei contagi e sottovalutano i rischi per la salute delle persone e per l’economia del Paese”. Perché si sta andando verso la “progressiva saturazione degli ospedali, con limitazione degli interventi chirurgici programmati, anche in pazienti oncologici, e la riduzione delle capacità assistenziali”.
“Di conseguenza – puntualizza Cartabellotta – molte Regioni si avviano verso la zona arancione entro fine mese”.
Già oggi “Calabria e Piemonte sono a 0 posti disponibili in intensive e in area medica, Liguria 0 area medica e 1 posto in intensiva, Sicilia 0 in area medica e 4 intensive”.
Il sottosegretario: contano i posti letto negli ospedali
Dal Governo, però, non vogliono sentire parlare di situazione Covid da emergenza: per il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, i bollettini quotidiani, che mettono al primo posto il numero dei contagi, “stanno alimentando un clima di paura ingiustificato”.
Alla Stampa, il sottosegretario dice che “dobbiamo sforzarci di lanciare dei messaggi propositivi e positivi, consapevoli che il dato legato a chi si è contagiato è ormai fine a se stesso”.
“Quello che dobbiamo valutare con grande attenzione non sono i nuovi positivi, ma le occupazioni dei posti letto negli ospedali”. E poi, continua, bisogna spiegare con la massima trasparenza, quanti dei pazienti in terapia intensiva siano vaccinati con una, due o tre dosi, e quanti invece siano i non vaccinati, perché così “sensibilizziamo davvero chi ancora non si è voluto immunizzare, altrimenti veicoliamo il messaggio opposto e creiamo, senza ragione, sfiducia nei vaccini”.
Per questo, continua Costa, quello della Lombardia, che annuncia di non voler più conteggiare gli asintomatici nei suoi report, “è un errore”.
Andare in DaD? Cattivo segnale
Il sottosegretario parla anche di scuola: chiedere la DaD, quando il 75% degli studenti nella fascia 12-19 anni ha iniziato il percorso vaccinale, “manda un messaggio di scarsa fiducia nei vaccini”.
Infine, Costa ricorda che si stanno tornando a fare “700 mila vaccini al giorno. E se ci sarà bisogno, il governo è pronto a estendere l’obbligo” del vaccino anti Covid-19, “anche a fasce d’età più giovani, con un principio di gradualità che ha già adottato in passato per altri strumenti come il Green Pass”.