Secondo i sindacati l’adesione al blocco degli scrutini, nelle regioni dove si è svolto, va da un minimo del 70% a punte del 90%.
Ci aspettiamo però che la comunicazione politica da parte del Governo tenderà a minimizzare, offrendo all’opinione pubblica dati calcolati come fa comodo.
Una comunicazione corretta dovrebbe dirci semplicemente questo: quanti scrutini di classi non terminali sono stati bloccati rispetto a quelli programmati nei giorni in cui è stato indetto lo sciopero. Solo questo dato misura l’entità della protesta.
Invece, dare il numero dei docenti che hanno aderito allo sciopero non dice nulla, perché bastava un solo docente per classe per differire lo scrutinio. Ma questo l’opinione pubblica non lo sa, e offrire letture opportunistiche sarebbe un giochetto da ragazzi.
Dal Ministero, inteso come istituzione, ci aspettiamo dati che ci informino su come sono andate realmente le cose.
Dal Governo guidato da Matteo Renzi ci aspettiamo invece le solite fanfaluche a cui ci ha abituato, del tipo “abbiamo vinto” col 45% in Emilia Romagna, quanto è andato a votare un misero 39%, con un imbarazzate 36% di voti validi e due milioni di elettori che hanno scelto di non votare! Oppure “abbiamo vinto 10 a 2” alle regionali, quando nell’ultima tornata il PD ha perso due milioni di elettori nelle 7 regioni chiamate alle urne!
Empiricamente, l’impressione è che moltissimi docenti, certamente oltre il 50%, hanno aderito allo sciopero pur sapendo di tirarsi la zappa sui piedi di una seconda convocazione in giornate addirittura concomitanti agli esami, con aggravio molto pesante del carico lavorativo.
Dare a Renzi un messaggio chiaro era l’obiettivo. Una riforma della scuola deve avere prima di tutto il carattere della serietà di impianto (e la Buona Scuola è nata male), deve perseguire l’interesse degli studenti (e già qui si aprono le prime falle), deve avere il consenso, e non l’opposizione, di quel milione di docenti che sono le gambe su cui la scuola si regge e cammina.
Dare a Renzi&company una lezioncina di onestà intellettuale era il secondo obiettivo. Altro che lavagnetta e gessetto come alternativa propagandistica alle solite slides.
I docenti italiani, in grande maggioranza, questa riforma proprio non la accettano e lo stanno facendo capire con grande dignità. Quella dignità che vorremmo vedere, almeno in tardivo sussulto, nei nostri “rappresentanti”, pur eletti col vulnus del porcellum.
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