Nella giornata che il governo italiano ha voluto dedicare alle celebrazioni in onore del nostro più grande poeta, si impone una riflessione sul peso effettivo che la scuola riconosce all’autore della Commedia. Riflessione che trae spunto da quanto si può leggere in un articolo pubblicato oggi sulle pagine del Corriere della sera, a firma di Paolo di Stefano.
Di Stefano, il giornalista che fu il primo a lanciare in un editoriale di tre anni fa l’idea di istituire quello che è poi stato chiamato Dantedì ( la definizione è del prof. Francesco Sabatini, Presidente onorario dell’Accademia della Crusca), nel suo articolo di oggi, dopo aver rivelato che l’idea gli è venuta dal Bloomsday, la giornata che viene dedicata ogni 16 giugno a James Joyce, a proposito di Dante scrive: “il nostro poeta più amato da sempre, recitato a memoria dai nostri padri e dai nostri nonni… anche se ahinoi viene sempre meno studiato nelle scuole”.
Parole che potranno considerarsi opinabili da alcuni, condivisibili da altri, ma non è questo il punto. Ci sono docenti (credo siano la maggioranza) i quali dedicano a Dante tante ore di lezione, parafrasi, analisi, spiegazioni e magari altri che non lo fanno.
Ma il punto è un altro: cosa prevedono in merito i documenti ministeriali?
Prima di parlarne, sembra opportuno ricordare che per ben due volte, precisamente negli anni scolastici 2004/2005 e 2006/2007, il Paradiso è stato oggetto della prima prova scritta degli Esami di Stato conclusivi dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado (Tipologia A, analisi del testo): rispettivamente un passo del canto di Cacciaguida ( XVIII) e un altro di quello di san Francesco (XI).
Nelle Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento per i Licei e risalenti al 2012, è prevista la lettura della Commedia negli ultimi tre anni “nella misura di almeno 25 canti complessivi”: come si vede, un peso di rilievo viene giustamente riconosciuto a un testo base non solo della nostra letteratura , ma della civiltà umana in quanto tale.
Se, però, andiamo a leggere il documento pubblicato in allegato alla nota 3050 del 4 ottobre 2018 , firmata dal Capo Dipartimento per l’Istruzione “Prime indicazioni operative per gli Esami di Stato di secondo grado”, a proposito della prima prova scritta, tipologia A, si restringe l’analisi e l’interpretazione di un testo letterario italiano al periodo compreso dall’Unità d’Italia a oggi: dunque, Dante è praticamente escluso!
Eppure, il D.Lgs. 62/2017, art.17, c.3, in riferimento alla prima prova scritta recita: “essa consiste nella redazione di un elaborato con differenti tipologie testuali in ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico”.
Ora, la Commedia dantesca, pur avendo molteplici risvolti e sfaccettature, appunto, artistiche letterarie, filosofiche, scientifiche storiche e sociali, non può essere oggetto della prima prova scritta.
Non crede il signor Ministro che ci sia,quindi, una contraddizione tra le celebrazioni di oggi in tutta Italia, pur in un momento particolare di grandi difficoltà, e il fatto che Dante non possa essere proposto ai nostri studenti nella prima prova scritta? Non crede, signor ministro, che escludere Dante dalle tracce del Compito di Italiano significhi ignorare il lavoro appassionato di tanti docenti e anche l’interesse che i giovani manifestano per il nostro Autore? Non pensa il signor Ministro che questo sia un controsenso rispetto alle Indicazioni nazionali, le quali prevedono la lettura di un numero di canti della Commedia di gran lunga superiore a quello dei brani degli altri autori? Non pensa il signor Ministro che sia il caso di restituire a Dante il rilievo che merita anche nella prima prova scritta degli Esami di Stato e non solo in occasione del Dantedì?
Giuseppe Scafuro
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