Il proibizionismo sulle droghe giova solo alle mafie che lucrano su di esse: un dato di fatto ribadito lo scorso autunno nientemeno che dall’OHCHR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, istituito nel 1993). La nostra testata ne ha dato conto. Per contrastare i giganteschi profitti delle multinazionali del narcotraffico (‘ndrangheta in testa), l’OHCHR chiede ai governi di prendere il controllo dei mercati illeciti degli stupefacenti col regolamentarne l’uso, interrompendo la mera criminalizzazione dei tossicodipendenti. Il che non significa, ovviamente, favorire “legalmente” la diffusione delle droghe: al contrario, bisogna metterne il commercio e l’utilizzo sotto controllo statale, sottraendole al malaffare per utilizzarle a fini terapeutici, liberando i “tossici” dalla schiavitù delle sostanze.
Il proibizionismo, secondo l’Alto Commissariato ONU, dopo ben sei decenni di insuccessi si è rivelato fallimentare e controproducente: è riuscito solo a distruggere le vite di milioni di persone, la cui rovina è per di più costata miliardi di dollari a tutti i Paesi del globo.
Nel marzo prossimo si svolgerà a Vienna la sessantaseiesima sessione della Commissione Stupefacenti delle Nazioni Unite (CND), che svolgerà una revisione intermedia delle politiche globali in materia, attualmente caratterizzate dalle misure securitarie imperanti ovunque: grazie alle quali in tutto il pianeta un detenuto su cinque è in carcere per uso di stupefacenti. In Italia addirittura più di un terzo della popolazione carceraria — il doppio della media europea — è detenuto per questo motivo: l’eventuale depenalizzazione svuoterebbe le carceri, risolvendo di colpo il problema del sovraffollamento carcerario.
Dopo 60 anni di proibizionismo, le scuole italiane sono assediate dalle droghe, che circolano ovunque, con un flusso che pare inarrestabile. Nulla, se non il dialogo con i giovani e la conquista della loro fiducia, può rappresentare un’alternativa valida questo distopico dilagare di sostanze psicotrope (favorito anche dal diffondersi di una sottocultura pseudo-musicale favorita dai social media). La fiducia dei giovanissimi si può riconquistare attraverso la cultura, se gli adulti ci credono. I giovani tendono a discostarsi da chi li delude, ma vengono conquistati da chi si mostra loro coerente nel credere ai propri valori. Essere e mostrarsi sensibili alla ricerca di verità, bellezza, giustizia: solo questo può riavvicinare un adolescente al gusto di una vita libera e sana.
Un atteggiamento puramente persecutorio e criminalizzante, al contrario, rinchiude i giovani nell’autoreferenzialità di un ribellismo fine se stesso, nel quale l’uso di sostanze diventa il gesto estremo di chi è disposto al suicidio lento pur di fuggire da una realtà che rifiuta con tutte le proprie forze.
Ebbene, l’attuale politica italiana sulle droghe è coerente con la richiesta dell’OHCHR? Lo sono le continue campagne securitarie e le leggi per garantire il carcere ai “tossici”?
Un recente spot pubblicitario televisivo contro le droghe (prodotto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) mostrava l’ex commissario tecnico della Nazionale di calcio Roberto Mancini che contrapponeva le “emozioni vere” e i valori dello sport all’uso dei narcotici («Tutte le droghe fanno male») ed allo “sballo” fine a se stesso. Spot edificante: se non fosse per le scelte successive del Mancini, che alle emozioni vere ha preferito i petrodollari sauditi (25 milioni di euro netti all’anno dal 2023 al 2027), contraddicendo l’insegnamento del messaggio pubblicitario.
I giovanissimi, al contrario, hanno bisogno di coerenza, non di parole, perché le parole che suonano false fanno alle menti giovani più male ancora delle droghe. Gli spot pubblicitari rassicurano i genitori e procurano voti, ma non cambiano i comportamenti degli adolescenti. Potrebbe modificarli piuttosto una TV diversa (ossia non finalizzata a vendere prodotti mediante spettacoli-spazzatura, diseducazione e stereotipi), un web gestito diversamente (per diffondere cultura e informazione anziché per accumulare miliardi), una società meno violenta e competitiva, un sistema di valori differente da quelli del profitto “über alles”, una generazione di genitori che volesse tutto ciò al posto della distopia in cui siamo costretti a vivere.
Basta osservare la trista “movida” ormai strabordante in tutta Italia, per capire che i nostri giovanissimi sono in gran parte dominati, oltre che dallo smartphone, da una triade malefica: tabacco, alcol e cannabis. Studi e ricerche dimostrano però che solo pochi passano dallo spinello a droghe più pesanti (spesso conosciute e scelte a prescindere dalla cannabis). Lo dichiara anche Silvio Garattini, oncologo e farmacologo di chiara fama, il quale lega la dipendenza più a fattori sociali che ad automatici passaggi dalla “canna” all’eroina. Tanto per fare un esempio, infatti, la maggioranza delle donne in carcere per reati legati alla droga ha un livello di istruzione basso.
Alla draconiana durezza della politica governativa italiana sulle droghe si contrappone d’altro canto, inspiegabilmente, un singolare liberismo per il gioco d’azzardo e per i suoi concessionari, nonché per le slot-machine, ora reperibili persino in bar, giornalai e tabaccai. Solo la dipendenza dai narcotici è negativa? Non lo è forse anche la schiavitù del gioco d’azzardo?
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