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Open day scuola, un docente: “Famiglie alla ricerca di segnali, ma non è lì che si decide se iscriversi al classico o al tecnico”

In questi mesi, in vista dell’avvio delle iscrizioni al prossimo anno scolastico, si svolgono nelle varie scuole gli open day. Si tratta di momenti in cui gli istituti si presentano al pubblico, o per meglio dire “all’utenza”. Il docente Maurizio Tucci, presidente del Laboratorio Adolescenza Milano, nelle pagine de Il Corriere della Sera, ha detto la sua.

“Da quando esiste la cosiddetta ‘autonomia scolastica’ (introdotta nell’anno 2000), le scuole possono differenziarsi, sia pure relativamente, come offerta formativa e da un certo punto di vista sono ‘in concorrenza’ le une con le altre nell’attrarre gli studenti”, ha esordito.

“Per parlare in modo concreto di offerta formativa sarebbe necessario avere di fronte interlocutori già sufficientemente ‘orientati’ che possano valutare se, a parità di indirizzo, una scuola offre percorsi più coerenti rispetto agli interessi e alle aspettative di chi deve iscriversi. In altre parole, avrebbe certamente senso un confronto approfondito tra due o tre scuole affini, ma non dovrebbero essere gli Open day il luogo in cui decidere se iscriversi al classico o al tecnico commerciale”, ha aggiunto criticamente.

Ecco cosa accade, invece: “Ciò che invece accade spesso è che le scuole si vedano invase da moltitudini di genitori e figli vaganti a caso, alla ricerca di un miracoloso ‘segnale’ che possa orientare le loro idee spesso confuse e altrettanto spesso in conflitto tra genitori e figli, se non tra genitore e genitore. Di fronte ad una domanda così generalista, è inevitabile che le scuole siano costrette a dare risposte altrettanto generaliste, per cui la qualità e contenuti degli Open day sono ormai quanto di più omogeneo ed indifferenziato si possa immaginare”.

Il commento sarcastico

“Le scuole sono tutte innovative, ma nel solco di una impostazione tradizionale; gli insegnanti tutti aperti al dialogo, ma nel rigido rispetto dei ruoli; la didattica è interattiva, ma il programma viene rigorosamente rispettato e svolto. In tutte le scuole si studia molto, ma si studia ‘bene’ e – miracolo – volentieri, e c’è dovunque un forte affiatamento tra gli insegnanti e tra scuola e famiglie, anche lì dove notoriamente scorre il sangue. Poi c’è il dato sul tasso di promozioni che è un aspetto delicato, perché è difficile accontentare contemporaneamente quei genitori che auspicano una rigida selezione, quegli altri che preferirebbero maglie più larghe e i futuri studenti; quindi si glissa volentieri sull’argomento”, ha proseguito.

“In affanno nel differenziarsi sui contenuti, si punta molto, dove si può, sugli aspetti più coreografici. Non siamo ancora arrivati alle cheerleader che spopolano nei serial americani di cui ci inondano Netflix e dintorni, ma si cerca sempre di garantire una accoglienza gestita da studentesse e studenti che sorridono come gli animatori dei villaggi turistici, vestiti con la tuta della scuola”.

“Naturalmente ci sono sempre le eccezioni virtuose, ma anche quando la scuola entra più nei contenuti, le domande che generalmente pongono i genitori, alla fine della kermesse, sono la dimostrazione dello iato che c’è tra ‘domanda’ e ‘offerta’. Da un lato si parla di ‘indirizzi’, ‘progetti pilota’ e ‘potenziamento linguistico’, dall’altro si chiede se c’è scuola anche il sabato e a che ora suona la prima campanella; da un lato si illustra lo sportello psicologico a disposizione degli studenti, dall’altro si chiede che media d’uscita ci vuole dalla scuola media per avere la certezza di vedere accettata l’iscrizione; da un lato si parla di integrazione e accoglienza, dall’altro si vuole sapere quanti stranieri ci sono”.

Open day inutili?

“La conclusione? Eliminiamo gli Open day tanto così servono a poco? No di certo, perché un contatto, anche ‘fisico’, con la scuola che si pensa di frequentare è importante, ma ripensiamoli. Nei contenuti, da parte delle scuole, rendendoli un utile strumento di approfondimento e non una promozione di bandiera, ma soprattutto nella fruizione, da parte delle famiglie, che devono imparare a frequentarli con oculata moderazione, come il perfezionamento di una scelta già orientata e non come una sorta di sconclusionato binge drinking, dove il criterio è solo la quantità”, ha concluso.

Da tempo il metodo open day è criticato, bollato come ipocrita, visto come un giorno in cui le scuole nascondono le proprie magagne e si mettono in mostra, come fossero aziende o negozi. Una docente, come riporta Il Tirreno, in base alla sua esperienza anche da genitore, ha criticato gli open day, definendoli “teatrini colorati e luminescenti per convincere ignari adolescenti imberbi che scegliere loro quella scuola è la scelta migliore”.

Ecco un esempio: “Che senso ha far apparire il proprio liceo come un posto meraviglioso dove l’accoglienza sta alla base di una preparazione solida e performante quando da innumerevoli anni si sa che quel liceo vanta un abbandono altissimo di iscritti alla prima superiore?”.

Redazione

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